Castelvetrano sia ricordata per il filosofo Giovanni Gentile non per Matteo Messina Denaro

Conte a Castelvetrano: "La città sia ricordata per il filosofo Gentile non per Matteo Messina Denaro. Alfano ha fatto tanto nonostante il dissesto”. 31/05/2024 - “La città deve essere ricordata per le cose belle non per quelle brutte, deve essere riconosciuta per il filosofo Giovanni Gentile, originario di Castelvetrano, e non per Matteo Messina Denaro”. Lo ha detto il presidente del M5S Giuseppe Conte oggi a Castelvetrano, una delle sue otto tappe siciliane, al fianco di Giuseppe Antoci, capolista Isole alle europee per il M5S, e degli altri candidati Cinque alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Di Enzo Alfano, il sindaco 5 Stelle di Castelvetrano uscente, Conte ha evidenziato: “Sono stai anni difficili per lui. Quando c'è un dissesto finanziario un sindaco ha le mani legate e bisogna tenerne conto, altrimenti non si riesce a capire i miracoli i che ha fatto avendo le mani legate. Qui c'è stata un'amministrazione che ha contrastato il malaffare, qualsia

ROSY DE FAZIO , “ACQUERELLI DEL CUORE”: FORSE LA POESIA È LO STRATAGEMMA DI PENELOPE

 [04/01/2016] - Forse la tessitura non è solo l'arte di disporre i fili sul telaio, di formarne l'ordito; forse è l’arte di intrecciare i fili della fantasia con quelli dell’anima e del cuore, di ordire la trama dell’immaginazione attraverso un “nostalgico fantasticare, raccontarsi, o farsi narrare dall’anima”, come una madre che di sera erode gli sgoccioli della giornata alla stanchezza, per rendere più lieve il buio al proprio bimbo impaurito? Forse la poesia è “un drappo di seta rosso / agitato dal vento, che profuma di spezie orientali, / di fragranti ricordi?”. Forse prende forma “come se i versi venissero fuori dal tramonto stesso o dall’orizzonte lontano, a fermare la fugace emozione di un attimo su un foglio di carta”?
Forse la poesia è un “canto errante che vaga su verdi colline in cerca di te”, o forse è Natura, la terra stessa su cui poggiamo i piedi, l’erba e le foglie che distrattamente carezziamo e calpestiamo; forse è l'universo inesplorato nel quale non smettiamo di cercare (per saperlo riconoscere) il creato, il mondo con le sue meraviglie e suoi i segreti, che - giusto per invertire l’ordine dei “fattori” e non sentirci noiosi - calpestiamo ed amiamo?
O, la poesia, è deposito di nostalgie, dispensa di tristezze, stoccaggio di malinconie, cambusa di sospiri, cantina di silenzi, giacimento di lontananze ed attese (quando è “triste la sera e l'orizzonte lontano”), ripostiglio di inconfessate fedeltà?

Forse la poesia è lo stratagemma di Penelope, moglie di Ulisse, madre di Telemaco, Poliporte e Arcesilao, donna ideale del mondo omerico, modello di comportamento, bellezza, regalità e pudore, capace di aspettare l'uomo amato con costanza e fiducia, senza mai cedere al dubbio, senza mai dubitare di quell’amore. E così come Penelope è considerata alter ego di Ulisse, allo stesso modo, la donna innamorata della Poesia ad essa soggiace, in un’attesa tanto costante e fiduciosa, quanto smodata e priva di regole.

Forse, come Penelope, la poetessa, si ritrovò naufraga in mare, inseguendo “aquiloni di parole con lo sguardo rivolto al cielo, disegnando graffiti di speranza tra le nuvole, restando con un filo tra le mani… e come Penelope fu salvata da uno stormo di anatre che, tenendola a galla, la portarono verso la vicina spiaggia. Ed ora Rosy De Fazio, “nel buio della notte ricama trame di solitudine / che si disperdono nel vento / della mia malinconia”.

Forse Penelope, come l’Autrice, non odiava “questa distanza / che separa le nostre ciglia, / chilometri dal gusto amaro / che sanno d'abbandono”. Fino a sentire “intorno, ineluttabile l’odore della sua assenza; fino a sentirsi “fontana dimenticata / in un prato di parole”?
Forse a Penelope, come a Rosy De Fazio, non mancavano “le parole che non ci siamo detti, una carezza non data”: manchi a quest'anima / che dolente tace!”?
Per la De Fazio la poesia è Ulisse, partito per la guerra a Troia, e lei rimasta sola a crescere il piccolo Telemaco, con quell’eterno “drappo di seta rosso” da ordire, tessere e mai ultimare.
Lei, rimasta sola a “passeggiare tra le parole, / a tessere albe e crepuscoli in versi (…)”, a “respirare queste meraviglie attraverso pennellate di parole, creando così acquerelli di poesia”. Rimasta là a “dipingere nuvole bianche (…), ad assaporare il rosa caldo / di strofe ammiccanti / che si abbracciano silenziose”.

Ecco lo stratagemma della tela. Ecco il drappo delle quattro stagioni dei sentimenti e dei dubbi, il lenzuolo funebre dal quale (sovente) rinascere, secondo il rito magico della purificazione; liberare l’anima dalle scorie e dall’irrazionale, dalle passioni, secondo l’azione liberatrice della poesia: alibi amato che non avrà mai fine.
La poesia è allora (forse) un sudario tessuto per un Laerte, da ordire di giorno e disfare la notte? Penelope, simbolo per antonomasia della fedeltà coniugale femminile, si sospetta sia ‘rinata e vissuta’ per la seconda volta, come profuga ed immigrata, nel mare in tempesta, facendosi astuta.

Perché “la solitudine non ha odore, / ma l'assenza ha il tuo profumo. / Non c'è colore per le ore vuote (…). / La tua mancanza è la mia solitudine / eco di mare dentro vuota conchiglia… Non v'è brezza o zefiro / che m'accarezzi la pelle / se la tua mano non sfiora la mia. / Il tempo ha inizio con te / e svanisce nella tua assenza”.
Del resto, Rosy De Fazio lo testimonia sulla propria pelle di poetessa, “i graffi del tempo rendono / più bello il tuo ricordo, / amanti fedeli d’accorata nostalgia…”

E Ulisse, solitamente, ogni 20 anni torna (inaspettato) a spezzare le attese, a rischiarare le notti infinite, a gratificare l'astuzia di Penelope, a scongiurare il tradimento di un'ancella traditrice, devota ai proci più che alla regina. Ulisse (inatteso) torna a uccidere i proci, a ritrovare la moglie, a ingravidarla ancora di nuova poesia da tessere nelle future notti su cui poggiamo l’anima, che distrattamente amiamo e calpestiamo; come l'universo inesplorato dei sogni nel quale non smettiamo di cercare, che ugualmente calpestiamo ed amiamo.

Nelle ombre dei lunghi giorni, / sei apparso inaspettato /
a scaldare un corpo che trascina / gli ultimi brandelli d’amore.
Tu, mattino di gioia, / hai inciso il tuo nome /
sulle scale della mia vita, / silenzioso brilli sulla soglia
dell’ultimo tramonto.

Perché un poeta, forse, ha bisogno di scrivere sulla carta da visita della propria anima le seguenti parole:
Però sia ben chiaro / qualche volta sarà pure più amaro.

Mimmo Mòllica

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