Capizzi, studente modello di 16 anni ucciso in piazza da un ventenne armato di pistola

Uno studente di 16 anni,  Giuseppe Di Dio, è stato ucciso sabato 1° novembre a Capizzi, piccolo comune dei Nebrodi in provincia di Messina, mentre un suo amico è rimasto ferito nella sparatoria. Fermate tre persone.  Giuseppe Di Dio frequentava la terza classe  dell'istituto alberghiero di Troina (Enna) e sarebbe stato attinto per errore dai colpi mortali esplosi da  Giacomo Frasconà Filaro , il 20.enne presunto assassino . 3 nov 2025 - Giuseppe Di Dio, 16 anni, e i suoi amici si trovavano  davanti a un bar di via Roma, a Capizzi, quando da un'automobile sarebbero scese tre persone, una delle quali avrebbe esploso i colpi di arma da fuoco che hanno attinto mortalmente il sedicenne, ferendo un altro giovane di 22 anni.  Si tratta di  Antonio Frasconà Filaro , 48 anni, e dei figli Mario, 18 anni, e Giacomo, 20 anni. Quest'ultimo, armato di pistola avrebbe fatto fuoco sulle persone presenti all'esterno del  bar di via Roma, a Capizzi, uccidendo ...

Coronavirus Sicilia: Una telefonata ai 9 prefetti, più controlli nei centri urbani

Una telefonata ai nove prefetti dell'Isola per esortali a intensificare la presenza delle Forze dell'ordine nei centri urbani, con sanzioni gravissime nei confronti di chi si fa trovare in giro senza avere una giustificazione accettabile.

Palermo, 2 aprile 2020 – L'ha preannunciata il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci, intervenendo nel corso della trasmissione Omnibus in onda su La7.
«Sono molto preoccupato - ha affermato il governatore - per l'atteggiamento di relax che ha assunto la popolazione del Sud, e in particolare quella della Sicilia, negli ultimi giorni. Finora abbiamo osservato rigorosamente le norme, secondo cui bisogna restare a casa. Ma ora c'è una sorta di 'liberi tutti', con l'errata consapevolezza che il peggio sia passato e con il fatalismo tipico e l'aria scanzonata di noi meridionali che ci possiamo concedere anche il lusso di un passeggiata di un'ora. Chi fa questo è un irresponsabile che mette a rischio la propria vita e quella degli altri».

E ancora: «Dobbiamo fare ancora qualche settimana di sacrificio se il picco deve arrivare dobbiamo evitarlo, altrimenti vanifichiamo gli sforzi incredibili di tantissime famiglie che non possono più fare la spesa e che hanno spento persino il frigo perché non hanno più nulla da conservare».

Musumeci ha ricordato le misure fin qui disposte e comunicato gli ultimi dati sulla diffusione della pandemia in Sicilia. «Abbiamo adottato, fin dall'inizio - ha puntualizzato - una linea di rigore che finora ha pagato, ma sappiamo benissimo che il picco deve arrivare e lo aspettiamo per la metà di aprile. Abbiamo finora 1.718 positivi, 72 pazienti in terapia intensiva e 86 guariti e abbiamo registrati 88 perdite con quattro zone rosse».
Tra i provvedimenti, la limitazione degli ingressi dallo Stretto di Messina: «Da diverso tempo - ha ricordato il governatore - abbiamo limitato gli accessi nell'Isola anche con i traghetti che da 24 sono passati a 4 corse giornaliere. Siamo fermamente convinti che le due settimane che arriveranno saranno quelle determinanti ed è in questo momento che bisogna tenere alta la guardia. Abbiamo anche limitato - ha spiegato Musumeci - le corse dei treni e gli aerei arrivano soltanto da Roma Fiumicino. Dobbiamo convincerci che, in questo momento, ogni siciliano deve rimanere dove si trova».

Infine, il tema dei dispositivi individuali di protezione, che sono insufficienti per le esigenze degli operatori sanitari duramente impegnati per contenere la diffusione del contagio e assistere i pazienti ricoverati negli ospedali siciliani. «L'unità di crisi nazionale - ha concluso - si era presa l'incarico di distribuire alle periferie il materiale di protezione, ma anche i ventilatori, necessari per realizzare i posti di terapia intensiva. Sono arrivati in maniera insufficiente e inadeguata. Ci sono stati degli errori iniziali, che hanno creato un diffuso malessere soprattutto tra gli operatori sanitari e di cui adesso è bene non si parli, perché in tempo di guerra non si fanno processi».

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