Castelvetrano sia ricordata per il filosofo Giovanni Gentile non per Matteo Messina Denaro

Conte a Castelvetrano: "La città sia ricordata per il filosofo Gentile non per Matteo Messina Denaro. Alfano ha fatto tanto nonostante il dissesto”. 31/05/2024 - “La città deve essere ricordata per le cose belle non per quelle brutte, deve essere riconosciuta per il filosofo Giovanni Gentile, originario di Castelvetrano, e non per Matteo Messina Denaro”. Lo ha detto il presidente del M5S Giuseppe Conte oggi a Castelvetrano, una delle sue otto tappe siciliane, al fianco di Giuseppe Antoci, capolista Isole alle europee per il M5S, e degli altri candidati Cinque alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Di Enzo Alfano, il sindaco 5 Stelle di Castelvetrano uscente, Conte ha evidenziato: “Sono stai anni difficili per lui. Quando c'è un dissesto finanziario un sindaco ha le mani legate e bisogna tenerne conto, altrimenti non si riesce a capire i miracoli i che ha fatto avendo le mani legate. Qui c'è stata un'amministrazione che ha contrastato il malaffare, qualsia

Servizi educativi per l’infanzia: utenza asili nido in Sicilia 13,5%, contro una media nazionale del 24,7%

Rapporto sui servizi educativi per l’infanzia in Italia. Si è chiuso da poco l’evento on line di presentazione del Rapporto “Nidi e servizi educativi per l’infanzia, stato dell’arte, criticità e sviluppi del sistema educativo integrato”, frutto dell’accordo di collaborazione triennale stipulato a fine 2018 tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le Politiche della Famiglia - l’Istat e l’Università Ca’ Foscari Venezia.

Roma, 10 giu 2020 - Hanno aperto i lavori il Presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, il Capo Dipartimento per le Politiche della Famiglia Ilaria Antonini e il Rettore dell’Università Ca’ Foscari Venezia Michele Bugliesi. A conclusione dell’evento è poi intervenuta Elena Bonetti,Ministra per le pari opportunità e la famiglia e Presidente dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. Coordina il webinar il prof. Stefano Campostrini Dipartimento di Economia dell’Università Ca’Foscari.
“Il Rapporto sui servizi educativi per l’Infanzia presentato oggi - sottolinea la Ministra Bonetti - ci restituisce un quadro chiaro della situazione nel nostro Paese e offre ulteriori elementi per strutturare politiche che diano risposte di stabilità alle famiglie e accompagnino i bambini nel loro percorso di crescita in una fase importantissima quale è quella della prima infanzia. Aumentare l’offerta educativa e ridurre il gap che esiste tra i vari territori è una direttrice su cui abbiamo investito nell'ultima legge di bilancio e investiamo strutturalmente nel Family Act, con una progettualità integrata e multidimensionale che guarda ai bisogni reali del Paese nella loro complessità e attiva le energie e il sostegno delle comunità intorno alle famiglie. Una dimensione di stabilità e di fiducia è ciò che occorre per ritrovare collettivamente un senso di futuro e lo studio oggi presentato è ulteriore conferma della direzione da dare alle nostre politiche”.

Sotto il profilo dei contenuti il Rapporto propone per la prima volta una lettura integrata di diverse fonti informative di natura amministrativa e statistica, con l’obiettivo di restituire un quadro conoscitivo analitico riferito all’anno scolastico 2017-2018sul tema dei servizi per la prima infanzia e, più in generale, sul sistema integrato di educazione e d’istruzione dalla nascita sino a sei anni. La raccolta ragionata della documentazione di natura normativa e amministrativa dà conto dello stadio di attuazione dei provvedimenti a livello locale.

Principali contenuti del Rapporto

Le analisi mettono in luce una carenza strutturale nella disponibilità di servizi educativi per la prima infanzia rispetto al potenziale bacino di utenza (bambini di età inferiore a 3 anni) e una distribuzione profondamente disomogenea sul territorio nazionale.
I posti disponibili nei nidi e nei servizi integrativi pubblici e privati corrispondono mediamente al 12,3% del bacino potenziale di utenza al Sud e al 13,5% di quello delle Isole, contro una media nazionale del 24,7% (anno scolastico 2017/2018). Una dotazione ben al di sotto dell’obiettivo del 33%fissato per il 2010 dal Consiglio europeo di Barcellona del 2002 per sostenere la conciliazione della vita familiare e lavorativa e promuovere la maggiore partecipazione delle donne nel mercato del lavoro. Il Nord-est e il Centro Italia hanno tassi di copertura decisamente più alti, 32,5% e 32,4% rispettivamente, segue il Nord-ovest con il 29,2%.

Le strutture per la prima infanzia risultano concentrate nei territori più sviluppati dal punto di vista economico e nei Comuni più grandi, mentre le aree più povere e i piccoli centri soffrono spesso di una carenza di servizi. Ad esempio, l’insieme dei comuni capoluogo di provincia ha una dotazione media di 32,8 posti per 100 bambini di 0-2 anni, valore nettamente superiore rispetto a quello dell’insieme dei comuni non capoluogo (21,4%).

In tutte le regioni del Centro-nord e in Sardegna la copertura dei capoluoghi di provincia supera l’obiettivo target del 33% e in molti casi supera il 40%, con punte fino al 59% di Aosta e al67,5% di Bolzano. I capoluoghi del Mezzogiorno si differenziano meno dal resto dell’area ma hanno livelli di copertura decisamente inferiori.

L’analisi georeferenziata dell’offerta evidenzia aree di maggiore concentrazione dei servizi e di omogeneità tra territori confinanti. Ad esempio in Emilia Romagna i livelli di copertura sono elevati e omogenei ela percentuale di comuni non serviti è molto bassa; in Calabria, al contrario, i servizi risultano rarefarsi rispetto alle estensioni territoriali e ai bambini che vi risiedono, mentre in Sardegna convivono aree molto coperte dal punto di vista dei servizi all’infanzia e aree in cui l’offerta è sottodimensionata rispetto alla domanda potenziale.
Le aree territoriali più in sofferenza si concentrano, oltre che nel Mezzogiorno, lungo l’arco alpino e in parte sulla dorsale appenninica in corrispondenza di territori montani. Non rientrano in questo gruppo i comuni delle Province autonome di Trento e Bolzano e della Valle d’Aosta, e ciò lascia supporre che anche in territori con particolari conformazioni territoriali l’offerta dei servizi educativi possa essere sostenuta dal governo locale dei servizi.

È pubblica il 51% della dotazione complessiva di posti per i servizi rivolti alla prima infanzia. I comuni spendono circa 1 miliardo e 461 milioni di euro l’anno per i nidi e i servizi integrativi per la prima infanzia, di cui il 19,6% rimborsato dalle famiglie sotto forma di compartecipazione degli utenti.
Al Centro-nord la spesa media dei Comuni per un bambino residente passa da poco meno di 2.000 euro l’anno nei comuni altamente urbanizzati a poco meno di 700 euro nei comuni con grado di urbanizzazione medio e basso. Nel Mezzogiorno si ha una media di 389 euro per bambino nei Comuni più urbanizzati e di circa 300 euro l’anno nei Comuni a media e bassa urbanizzazione.
Sulla possibilità di fruizione dei servizi educativi per la prima infanzia pesa anche un vincolo di natura economica, poiché il costo dei servizi non è esiguo e può essere non sostenibile per le famiglie a basso reddito e a rischio di povertà. La spesa media a carico delle famiglie che si avvalgono degli asili nido pubblici o privati è di circa 2.000 euro l’anno.
I costi degli asili nido contribuiscono a selezionare i bambini che accedono al servizio dal punto di vista del reddito familiare. Infatti, il reddito nettodelle famiglie che usufruiscono del nido risulta mediamente più alto di quello delle famiglie con figli di età compresa fra 0 e 2 anni che non frequentano il nido: 40.092 euro annui contro 34.572 euro.

Ordinando la popolazione in cinque gruppi per livello crescente di reddito, l’utilizzo del nido risulta decisamente più basso per il primo gruppo, composto dalle famiglie più povere, al cui interno solo il 13,4% dei bambini fruisce del servizio.Tale valore sale al 23,5% nel secondo quinto, cresce in misura molto più contenuta nel terzo (24,8%)e nel quarto gruppo (25,9%) e di nuovo in misura più consistente nella fascia più alta di reddito (31,2%).

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