Venerdì 9 e sabato 10 luglio 2021: al via la 40^ edizione delle Orestiadi di Gibellina: un’edizione speciale che parte con l’Orestea di Emilio Isgrò, il testo che diede il nome al festival e da cui ebbe inizio la storia delle Orestiadi. #lastoriadelfestival. 9 luglio ore 21,00 – Baglio di Stefano, L’ORESTEA DI GIBELLINA Agamènnuni di Emilio Isgrò, lettura scenica di Vincenzo Pirrotta, musiche eseguite dal vivo da Alfio Antico, IN ESCLUSIVA PER LE ORESTIADI 40. 10 luglio ore 19,00 – Baglio di Stefano, IL TEATRO DI EMILIO ISGRO’ - ncontro a cura di Martina Treu con la partecipazione di Emilio Isgrò, Francesca Corrao, Vincenzo Pirrotta.07/07/2021 - Venerdì 9 luglio prende il via la 40^ edizione delle Orestiadi di Gibellina: sarà la
rilettura dell’Agamènnuni dall’Orestea di Emilio Isgrò, ad opera di Vincenzo
Pirrotta con la partecipazione musicale di Alfio Antico (ore 21.00 - Baglio di
Stefano) – in esclusiva per le Orestiadi 40 - ad aprire questa edizione
straordinaria tra teatro, arte e visioni. Sarà un viaggio nella storia del Festival che
ebbe inizio nel 1982, grazie al teatro di Emilio Isgrò, che diede l’avvio ad un
percorso unico di teatro contemporaneo nella città di Gibellina.
Sabato 10 luglio (ore 19,00 al Baglio Di Stefano), avrà luogo l’incontro “Il teatro di
Emilo Isgro” a cura di Martina Treu, ricercatrice di Lingua e Letteratura Greca
presso l'Università IULM, studiosa di teatro antico, in particolare dei rapporti tra
mito, drammaturgia, riscrittura e messinscena contemporanea - curatrice della
pubblicazione L’Orestea di Gibellina e altri testi per il Teatro di Emilio Isgrò
(collana “Fuoriformato” de Le Lettere, diretta da Andrea Cortellessa), opera che
raccogliere la prima edizione critica dei testi teatrali dell’artista siciliano. All’incontro
prederanno parte oltre allo stesso Isgrò, Francesca Corrao e Vincenzo Pirrotta.
L’Orestea segna idealmente l’inizio di una profonda germinazione di incontri
culturali tra artisti, architetti, musicisti, poeti, contadini, artigiani, operai, donne e
giovani che insieme rifondano la città di Gibellina nel segno dell’Arte e della
Bellezza, all’indomani di un terremoto che ha cancellato 14 città nella Valle del
Belìce. Nel 1983, per celebrare la rifondazione della città e segnare l’alba di un
destino tutto da riscrivere, sulle rovine della distrutta Gibellina, novella Troia e
immaginario Palazzo degli Atridi, Ludovico Corrao riproponeva la recita
dell’Orestea nel ‘siciliano poetico’ ideato da Emilio Isgrò: un vigoroso messaggio di
rinascita culturale per tutti i popoli minacciati dai sismi della storia e dai non meno
potenti terremoti di civiltà operati dalla guerra.
Così racconta Emilio Isgrò: “se il terremoto aveva cancellato tutto, era da lì che
dovevo partire, da quel mare di ruderi e vite spezzate. Venne così la mia prima
decisione d’artista, carica di conseguenze anche per la drammaturgia: la scena
dell’opera sarebbe stata la scena stessa del terremoto, concettuale e fisica
insieme. In quello spazio si sarebbero mossi gli attori, le macchine, le comparse.
Cosicché mutava la stessa prospettiva greca di Eschilo, con il classico, efebico
messaggero che, tramutato in un grasso Ambasciatore delle Ombre, sgusciava
ricoperto di polvere da un cumulo di rovine. Tutto era lì, insomma, non altrove:
anche la possibilità di una scrittura che con il dialetto cancellasse la lingua e
viceversa.”
Tutto questo avvenne per passione e per amore. E per circa quattro o cinque anni
io fui lì, tra le macerie, a sperimentare la possibilità di stare con gli uomini veri
piuttosto che con le maschere rappresentate da Pirandello nel suo immenso
teatro. Lì, o comunque pensando a quel luogo, ho scritto quasi tutti i miei testi da
palcoscenico, anche quelli che da quel luogo sono tematicamente distanti. In ogni
caso, non mi ha mai abbandonato l’idea greca che l’arte possa servire anche a
smuovere le ruote del mondo affondate nel fango.
Il fatto che oggi si torni a parlare di quella esperienza come di una cosa importante
(persino più importante di quanto allora non apparisse) significa che il tempo ha
lavorato bene e chiarito. Ma significa anche che quella esperienza, arrivata
probabilmente in anticipo, può tornare oggi più utile di ieri: in quanto abbiamo più o
meno capito tutti che la libertà dell’arte (dalla politica più politicante non meno che
dal mercato più mercatante) è pur sempre un’utopia. Ma un’utopia da coltivare:
perché coincide pur sempre con la speranza di un mondo anche economicamente
più libero.”
"Emilio Isgrò è artista poliedrico e sfuggente tuttavia è nella sua parola, in
quell’Agamennuni che sancisce la nascita di un luogo d’azione e di pensiero, d’arte
e poesia, che mi è parso di averlo potuto incontrare incarnandone le rime le
allitterazioni le assonanze, è in quell’essere e il non essere della parola di Isgrò,
pensata per una scena di rovine per una terra violentata dalle scosse, in cui
convergo oggi in un compendio, oserei dire in una poetica cancellatura, in cui la
scena dell’opera è un corpo e la sua voce. Emilio Isgrò con i suoi versi
dell’Agamennuni e con la sua lingua aspra e pungente ci dice chi siamo da dove
veniamo, e ci ammonisce sul dove non dovremmo andare, esplora con le sue
cancellature gli abissi dell’animo umano ce li mostra non mostrandoli, ci si immerge
con la parola per riemergere con la sua originalissima verità.” Vincenzo Pirrotta
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