Vendita AGI, Antoci: “Operazione priva di trasparenza. Si applichi il Media Freedom Act”

Vendita AGI, Antoci (Capolista M5S Collegio “Isole”): “Operazione priva di trasparenza. Si applichi il Media Freedom Act”. Nota Stampa di Giuseppe Antoci, candidato capolista circoscrizione “Isole” alle elezioni europee col MoVimento Cinque Stelle 4 mag 2024 - "Lascia sgomenti la decisione di ENI, azienda partecipata dello stato, di trattare la cessione dell'agenzia di stampa AGI con il parlamentare leghista Angelucci. Un'operazione "folle", come giustamente definita da Giuseppe Conte. Altrettanto allarmante è il fatto che la vendita si stia realizzando mediante una trattativa privata in assenza di un bando di gara a tutela della trasparenza dell'operazione. Bisogna arginare condotte come queste applicando il "Media Freedom Act", legge europea per la libertà dei media tesa a proteggere i giornalisti e i media dell'UE da ingerenze politiche o economiche e ad evitare la concentrazione dei media sotto il controllo politico (come nel caso di Angeluc

STRAGI FALCONE E BORSELLINO: PASSA DALLA PROV. DI MESSINA IL FITTO MISTERO

strageviadamelioweb.jpgdi Michele Schinella - 3 agosto 2009

Il clan dei barcellonesi. Passa dalla provincia di Messina uno dei misteri più fitti delle stragi dei giudici Falcone e Borsellino. Personaggi e comparse nelle inchieste più scottanti. Svanite nel nulla

Messina. Dalla polvere delle macerie di Capaci e via D’Amelio, durante gli anni, è partita una striscia. Rossa. Color sangue. Che inizia da Corleone, transita per Palermo e sfiora Barcellona Pozzo di Gotto. Provincia di Messina, la città “babba”, la città senza mafia. Apparentemente. Perchè è a Messina che il pentito Maurizio Avola ambienta gli incontri durante i quali si decisero le stragi del 1992 e del 1993. Voci da collaboratore di giustizia. Voci che non state ritenute attendibili ed hanno portato all’archiviazione dell’inchiesta a carico del premier Silvio Berlusconi e di Marcello Dell’Utri, condotta dalla procura di Caltanissetta come mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Ma il filo che lega le due stragi al territorio e alla mafia di Messina e, soprattutto della provincia, è costituito da un telecomando: il telecomando che ha fermato il 21 maggio del 1992, in un vortice di polvere e lamiere, la vita di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli uomini della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.


IL CAVALLO DI BARCELLONA.
Fu Giovanni Brusca, colui che azionò il telecomando, dinanzi al sostituto della direzione distrettuale antimafia di Messina Gianclaudio Mango, il 7 maggio del 1998, a fare chiarezza sulla partecipazione degli esponenti della mafia barcellonese e mistrettese all’attentato di Capaci: “I telecomandi utilizzati per la strage di Capaci mi vennero recapitati da Pietro Rampulla, tramite un’autocarro che trasportava una cavalla che Pippo Gullotti mi aveva regalato”. Il figlio del boss Bernardo, aggiunse, a ridimensionare la responsabilità di Pippo Gullotti, boss incontrastrato di Barcellona tra il 1991 e il 1997, anno del suo arresto, condannato a trenta anni per l’omicidio di Beppe Alfano, il giornalista ucciso a Barcellona l’8 gennaio del 1993: “Pippo Gullotti sapeva che sul quel camion con la cavalla viaggiava anche un telecomando ma non sapeva che che esso sarebbero stati utilizzati per la strage di Capaci”. Spiegazione coerente con le rigide regole dell’organizzazione mafiosa. In fondo, Pippo Gullotti in Cosa nostra era entrato l’anno prima della stragi: “E’ stato affiliato su indicazione di Giuseppe Farinella, nell’estate del 1991. Farinella lo comunicò a tutta la commissione. Mancava un referente di Cosa nostra per la Provincia di Messina e Gullotti si era dimostrato un uomo affidabile”, ha spiegato Giovanni Brusca, il 22 gennaio del 2002, nel corso di un’udienza del processo Mare nostrum. “Un vero e proprio mandamento di Cosa nostra per la provincia di Messina non venne mai creato”, ha specificato. Pippo Gullotti richiama Rosario Cattafi. Che fu il testimone delle nozze che hanno unito l’avvocaticchio, come è stato soprannominato Gullotti, a Venera Rugolo, figlia di Salvatore, di cui proprio Pippo Gullotti ha raccolto l’eredità. Rosario Cattafi, anch’egli avvocato, non è mai stato considerato organico alla mafia per quanto dai tabulati risultino una serie di contatti telefonici con Pippo Gullotti, ma fu indagato nell’ambito delle inchieste sulle stragi di via D’amelio e Capaci. Maurizio Avola ed altri collaboratori di giustizia lo indicarono, infatti, come uomo in grado di tenere i collegamenti tra Cosa nostra e quello che lo stesso Falcone battezzò come “il terzo livello”. Le dichiarazioni dei collaboratori, però, non hanno mai trovato riscontri benchè la caratura di Rosario Cattafi emerse con prepotenza nell’ambito dell’inchiesta sull’autoparco di via Salomone di Milano condotta dalla locale Procura e su un traffico di armi in concorso con Filippo Battaglia, suo amico di infanzia, inchiesta quest’ultima istruita dalla Procura di Messina e poi archiviata. Nel corso dell’inchiesta di Milano gli uomini del Gico hanno evidenziato i rapporti tra Cattafi e il legale Franz Maria Russo. “Franz Maria Russo venne investito da Pippo Gullotti della questione dell’arresto di Angelo Siino (il ministro dei Lavori pubblici di Cosa nostra, ndr). L’avvocato si interessò ma non riuscì a far scarcerare Siino per cui ritenni fosse poco affidabile come in effetti si rivelò successivamente”, ha raccontato Giovanni Brusca al sostituto Gianclaudio Mango il 7 maggio del 1998.


L’ARTIFICIERE.
Se c’era da maneggiare qualcosa di pericoloso, l’uomo al quale rivolgersi era lui. Pietro Rampulla, originario di Caltagirone, vissuto a Mistretta, estremista di destra in gioventù, mafioso vicino ai corleonesi in età adulta. Di Pietro Rampulla ne parla per la prima volta, nel 1988, il pentito Antonino Calderone. Disse che era “un uomo pericolosissimo”. Un uomo che aveva dimestichezza con gli esplosivi, talmente tanta che la “cupola” dopo avergli commissionato il telecomando gli affida il delicatissimo compito di mettere a punto l’arma con la quale liquidare Falcone. “Fu Giuseppe Farinella, capo del mandamento di San Mauro Castelverde con il mio accordo a decidere di affidare a Pietro Rampulla il compito di sostituire l’anziano Giovanni Tamburello a capo della cellula mafiosa mistrettese. Una sostituzione decisa perchè Tamburello utilizzava per le sue azioni delittuose persone poco affidabili”, ha spiegato Giovanni Brusca agli inquirenti. Pietro Rampulla è da anni in carcere ma agli inizi di luglio 2009, il patrimonio di famiglia, amministrato dal fratello di Pietro, Sebastiano Rampulla, è stato sequestrato dalla Dia di Messina. Sei milioni di euro. Tra i beni sequestrati, c’è anche quel “pezzo” di terra che Pietro Rampulla compra nel 1987. 346 milioni di lire. “Somma all’epoca di grande rilevanza e del tutto sproporzionata rispetto alla quasi totale assenza di redditi leciti dallo stesso percepiti (Rampulla non ha dichiarato redditi né presentato dichiarazioni ai fini Iva negli anni immediatamente precedenti, né successivi, l’acquisto)”, scrivono i giudici della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania.
SINISTRI PRESAGI.
Gioacchino La Barbera, uno dei primi collaboratori di giustizia, nel 2004 ha raccontato che alla vigilia delle stragi di Capaci e via D’amelio, Cosa Nostra aveva deciso di effettuare un attentato ai danni dell’allora ministro di Grazia e giustizia, Claudio Martelli, che aveva già affidato a Giovanni Falcone la guida dell’Ufficio Affari penali del ministero di Grazia e giustizia. Un camion pieno di tritolo avrebbe dovuto far saltare l’auto del ministro durante il tragitto che lo avrebbe portato in visita a Messina: Una modalità che verrà usata a Capaci e via D’amelio.


TERRA DI LATITANTI.
A Barcellona pozzo di Gotto si è nascosto da latitante Nitto Santapaola, il boss di Catania. Secondo una certa ipotesi ci sarebbe stato, nascosto in un monastero, anche Bernardo Provenzano. Di sicuro c’è stato chi ha azionato il telecomando di Capaci: “A Barcellona mi sono recato fino al 1991. Mi accompagnava Giuseppe Farinella. Una volta mi accompagnò Giuseppe La Rosa, divenuto collaboratore di giustizia. Pippo Gullotti mi veniva a prendere al casello autostradale. (A.C.) continua>

(l'articolo completo su: http://www.antimafiaduemila.com/content/view/18430/48/1/1/)

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