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Brolo, 23/04/2010 - Brolo è la cittadina della provincia di Messina che meglio di altre ha saputo scalare posizioni nella graduatoria dei centri ad alto potenziare turistico e ricettivo, così come presenta una valida situazione imprenditoriale. Ed ancora, Brolo ha saputo - negli ultimi anni - legare la propria immagine alla cultura della
legalità con iniziative di alto profilo, come l’intitolazione di una sala multimediale a Rita Atria o con la celebrazione del 'giudice ragazzino', Rosario Livatino.
Una cittadina con uno sviluppo edilizio visibile, facilitato da una orografia dei luoghi favorevole e da una pianta urbana pianeggiante e ordinata.

Eppure, laddove si evidenziano fattivi segnali di legalità e benessere, sotto uno strato sottile ma non profondo di terra, sembrano volere mettere radici gli inquietanti segnali addebitabili alla crisi economica che sta attraversando la
comunità globale ma che qua si rende meglio evidente, sia per la facile identificabilità del ‘corredo’ aziendale e imprenditoriale operante nel territorio, sia per la più facile distinguibilità delle imprese, fino a qualche anno addietro fiorenti ed oggi (in più casi) in serie difficoltà.
Quella delle aziende del gruppo Castello è solo la più ‘macroscopica’ e conosciuta vicenda brolese collegabile alla crisi. Ma ad essere entrate in debito di ossigeno sono aziende con bilanci di poco più consistenti di quelli familiari; aziende che dall’indotto e dalla fornitura agli enti locali trarrebbero il loro sostentamento e la loro stabilità.
E se a determinare il grosso della precarietà fossero proprio i mancati pagamenti da parte degli Enti locali sarebbe davvero beffardo e inaccettabile. Non sarebbe facile conciliare la vocazione per la legalità formale e il concreto aprire le porte ad un ‘mercato’ turpe e immorale, che resterebbe - però - la sola possibilità di illusoria salvezza per chi, abbandonato dai propri debitori, fosse costretto a cedere all’offerta di denaro non proprio dalle banche, già creditrici.
Una brutta faccenda che cova silente (ma non per questo meno dolente e insidiosa) sotto una substrato di terra ancora per poco sufficiente a celare i germogli che presto potrebbero spuntare e mettere solide radici in quel territorio.
Intanto, a Palermo, con una lettera aperta ad alcuni imprenditori chiamati in procura per confermare o meno di avere pagato il pizzo, il presidente di Confesercenti Palermo, Giovanni Felice scrive: "Cari colleghi non e' mai giusto pagare, ma in questa situazione non ci resta che una strada. Non pagare e denunciare".
"Con dolore - dice Felice - apprendo dei silenzi, delle reticenze, delle omerta'", perche' "oggi denunciare non e' un atto di sconsiderato coraggio, ma di ragionevole necessita'".
Appello che concerne il
pizzo ma che si estende certamente all’
usura: ed è ciò che aleggia minaccioso e funesto dinnanzi all'imprenditore oppresso dai debiti e impossibilitato a farvi fronte, malgrado i crediti vantati che gli consentirebbero di non incorrere in simili drammatici percorsi, se onorati dai debitori.

“… ci sono reati che fanno parte delle attività mafiose, come
racket e
usura, che iniziano
non necessariamente avendo alle spalle un’
organizzazione mafiosa... e che si scoprono solo attraverso le intercettazioni...”, ha detto tra gli applausi, nel corso di una lectio magistralis il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso.
Ed ha aggiunto: “E’ importante continuare a parlare di questi fenomeni e di farlo nel modo giusto. Bene le fiction sulla mafia e il libro sulla camorra di Saviano. Ma attenzione, avverte il procuratore, sono
realtà romanzate”.
Vorrà dire che la realtà può essere più vicina a noi, appena oltre la cartellonistica e le cerimonie formali: tra apparenza e indifferenza.
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