Vendita AGI, Antoci: “Operazione priva di trasparenza. Si applichi il Media Freedom Act”

Vendita AGI, Antoci (Capolista M5S Collegio “Isole”): “Operazione priva di trasparenza. Si applichi il Media Freedom Act”. Nota Stampa di Giuseppe Antoci, candidato capolista circoscrizione “Isole” alle elezioni europee col MoVimento Cinque Stelle 4 mag 2024 - "Lascia sgomenti la decisione di ENI, azienda partecipata dello stato, di trattare la cessione dell'agenzia di stampa AGI con il parlamentare leghista Angelucci. Un'operazione "folle", come giustamente definita da Giuseppe Conte. Altrettanto allarmante è il fatto che la vendita si stia realizzando mediante una trattativa privata in assenza di un bando di gara a tutela della trasparenza dell'operazione. Bisogna arginare condotte come queste applicando il "Media Freedom Act", legge europea per la libertà dei media tesa a proteggere i giornalisti e i media dell'UE da ingerenze politiche o economiche e ad evitare la concentrazione dei media sotto il controllo politico (come nel caso di Angeluc

EQUO PROCESSO: LA LEGGE E' UGUALMENTE LUNGA PER TUTTI E LO STATO ITALIANO PAGA I RITARDI

17/08/2013 - Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 16 luglio 2013 - Ricorso n. 32740/02 - Galasso ed altri c.Italia. Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico. Revisione a cura delle dott.sse Martina Scantamburlo e Rita Carnevali.
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA GALASSO E ALTRI c. ITALIA
(Ricorsi nn. 32740/02, 32742/02, 32743/02, 32748/02, 32848/02)
SENTENZA
STRASBURGO

16 luglio 2013

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.



Nella causa Galasso e altri c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in un comitato composto da:
Dragoljub Popović, presidente,

Paulo Pinto de Albuquerque,

Helen Keller, juges,

e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione f.f.,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 25 giugno 2013,

Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:
PROCEDURA

All’origine della causa vi sono cinque ricorsi (nn. 32740/02, 32742/02, 32743/02, 32748/02, 32848/02) proposti contro la Repubblica italiana con i quali alcuni cittadini di tale Stato («i ricorrenti») hanno adito la Corte in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
I ricorrenti sono rappresentati dagli avv. A. Nardone e T. Verrilli del foro di Benevento. I dettagli relativi ai ricorrenti e alle date di presentazione dei ricorsi sono riportati nella tabella allegata alla presente sentenza.
Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato da I.M. Braguglia e, successivamente, da E. Spatafora, agenti, e da N. Lettieri, ex co-agente.
Il 2 luglio 2004 la Corte ha deciso di comunicare i ricorsi al Governo.



IN FATTO



I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE


I ricorrenti sono stati parti in procedimenti giudiziari e hanno adito i giudici competenti ai sensi della legge «Pinto» per lamentare l’eccessiva durata di tali procedimenti.
I fatti principali dei ricorsi risultano dalle informazioni contenute nella tabella allegata alla presente sentenza.



II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI


Il diritto e la prassi interni pertinenti sono riportati nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23-31, CEDU 2006 V).



IN DIRITTO



I. SULLA RIUNIONE DEI RICORSI


Tenuto conto delle similitudini tra i ricorsi per quanto riguarda i fatti e il problema di fondo che essi pongono, la Corte ritiene necessario riunirli e decide di esaminarli congiuntamente in un’unica sentenza.



II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE


Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, i ricorrenti lamentano l’eccessiva durata dei procedimenti principali e l’insufficienza dei risarcimenti «Pinto».
Il Governo contesta questa tesi.
L’articolo 6 § 1 della Convenzione recita:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)».



A. Sulla ricevibilità

1. Mancato esaurimento delle vie di ricorso interne
Il Governo eccepisce il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in quanto i ricorrenti non hanno adito la Corte di cassazione ai sensi della legge «Pinto».
La Corte rileva che le decisioni delle corti d’appello «Pinto» sono divenute definitive prima del 26 luglio 2004 (si veda la tabella allegata) e, alla luce della giurisprudenza Di Sante c. Italia ((dec.), n. 56079/00, 24 giugno 2004), rigetta l’eccezione.



2. Qualità di «vittima»
Il Governo sostiene che i ricorrenti non possono più ritenersi «vittime» della violazione dell’articolo 6 § 1 poiché hanno ottenuto dalle corti d’appello «Pinto» una constatazione di violazione e una riparazione adeguata e sufficiente.
La Corte, dopo aver esaminato tutti i fatti di causa e le argomentazioni delle parti, considera che la riparazione risulta insufficiente (si vedano Delle Cave e Corrado c. Italia, n. 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007; Cocchiarella c. Italia, sopra citata, §§ 69-98). Pertanto, i ricorrenti possono ancora ritenersi «vittime», ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.



3. Assenza di pregiudizio importante
Nelle sue osservazioni depositate in cancelleria il 28 aprile 2009 il Governo sostiene che i ricorrenti non hanno subito un pregiudizio importante in quanto le corti d’appello «Pinto» hanno accordato una riparazione adeguata per la violazione della Convenzione.
Il Governo fa riferimento all’articolo 35 § 3 b) della Convenzione, come modificato dal Protocollo n. 14, ai sensi del quale la Corte può dichiarare un ricorso irricevibile quando «il ricorrente non ha subito alcun pregiudizio importante, salvo che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli esiga un esame del ricorso nel merito e a condizione di non rigettare per questo motivo alcun caso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale interno».
Per quanto riguarda la nozione di «pregiudizio importante», la Corte vuole sottolineare che dal fatto che i giudici nazionali abbiano riconosciuto una violazione della Convenzione e accordato una riparazione per la stessa non deriva automaticamente l’assenza di un «pregiudizio» per i ricorrenti, come sembra sostenere il Governo convenuto. In effetti, la valutazione circa l’assenza di un tale «pregiudizio» non si riduce ad una stima puramente economica.
La Corte rammenta che, per verificare se la violazione di un diritto raggiunga la soglia minima di gravità, occorre tener conto soprattutto dei seguenti elementi: la natura del diritto asseritamente violato, la gravità dell'incidenza della violazione lamentata nell'esercizio di un diritto e/o le eventuali conseguenze della violazione sulla situazione personale del ricorrente. Nella valutazione di queste conseguenze, la Corte esaminerà, in particolare, l'entità del procedimento nazionale o il suo esito (si veda Giusti c. Italia, n. 13175/03, § 34, 18 ottobre 2011).
La Corte rileva che, nella fattispecie, i ricorrenti lamentavano l’eccessiva durata dei procedimenti civili nei quali erano parti, aventi ad oggetto il riconoscimento del loro diritto ad una pensione di invalidità (si veda l’allegata tabella), protrattisi per un periodo compreso tra quasi sette anni e più di nove anni per due gradi di giudizio. È evidente che tale durata non può essere compatibile con il principio del termine ragionevole previsto dall'articolo 6 § 1 della Convenzione. Secondo la Corte, per valutare la gravità delle conseguenze di questo tipo di contestazione, l'entità della causa dinanzi ai giudici nazionali può essere determinante soltanto nel caso in cui il valore sia modico o irrisorio, il che non è vero nella presente causa se si tiene conto della natura delle pensioni, che sono in generale vitalizie.
Si deve notare altresì che i ricorrenti avevano adito la Corte in date comprese tra il 16 novembre 1998 e il 21 luglio 2000, affermando che vi era stata una violazione del diritto al rispetto del termine ragionevole sulla base di una giurisprudenza consolidata (si veda, tra le altre, Bottazzi c. Italia [GC], n. 34884/97, CEDU 1999 V). A seguito dell’entrata in vigore della legge «Pinto», i ricorrenti hanno adito la corte d’appello di Roma in qualità di giudice competente ai sensi della legge sopra menzionata. Successivamente, in date comprese tra l’8 aprile e il 24 luglio 2002, hanno ripreso i loro ricorsi dinanzi alla Corte. È evidente che i passi da loro intrapresi sono legati alle carenze del ricorso «Pinto» (si veda, tra le altre, Simaldone c. Italia, n. 22644/03, § 82, CEDU 2009 ... (estratti)), soprattutto per quanto riguarda l’esiguità degli importi accordati dalle corti competenti, in particolare prima dell’inversione di tendenza della Corte di cassazione (si veda Di Sante c. Italia, sopra citata). Tutto ciò ha evidentemente comportato un ritardo notevole nell’esame delle cause degli interessati, ritardo di cui la Corte non può non tenere conto nel valutare l’entità del danno da loro subito.
Peraltro, non si può concludere diversamente per il semplice fatto che l’efficacia del rimedio «Pinto» non è stata finora rimessa in discussione (si veda, tra le altre, Delle Cave e Corrado c. Italia, sopra citata), tanto più che la Corte ha denunciato chiaramente l’esistenza di un problema nel funzionamento dello stesso (si veda Simaldone c. Italia, sopra citata, § 82).
Tenuto conto di quanto sopra esposto, è opportuno rigettare anche questa eccezione.



4. Conclusione
La Corte constata che questi motivi di ricorso non incorrono in nessun altro dei motivi di irricevibilità di cui all’articolo 35 § 3 della Convenzione. Pertanto, li dichiara ricevibili.



B. Sul merito
La Corte constata che i procedimenti in questione sono durati, rispettivamente:

i. n. 32740/02: 7 anni e 7 mesi per due gradi di giudizio (6 anni e 6 mesi alla data del deposito della decisione «Pinto»);

ii. n. 32742/02: 7 anni e 2 mesi per due gradi di giudizio;

iii. n. 32743/02: 9 anni e 3 mesi per due gradi di giudizio (6 anni e dieci mesi alla data del deposito della decisione «Pinto»);

iv. n. 32748/02: 8 anni e 3 mesi per due gradi di giudizio;

v. n. 32848/02: 6 anni e 11 mesi per due gradi di giudizio.
La Corte ha trattato più volte ricorsi che sollevano questioni simili a quelle del caso di specie e ha constatato una inosservanza dell’esigenza del «termine ragionevole», tenuto conto dei criteri risultanti dalla sua giurisprudenza ben consolidata in materia (si veda, in primo luogo, Cocchiarella sopra citata). Non rilevando alcun elemento che possa portarla a una conclusione diversa nella presente causa, la Corte ritiene che si debba anche constatare, in ciascun ricorso, una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, per gli stessi motivi.



III. SULLE ALTRE VIOLAZIONI DEDOTTE
Invocando l’articolo 13 della Convenzione, i ricorrenti lamentano l’ineffettività del rimedio «Pinto» a causa dell’insufficienza della riparazione accordata dalle corti d’appello «Pinto».
La Corte rammenta che, secondo la giurisprudenza Delle Cave e Corrado c. Italia (sopra citata, §§ 43-46) e Simaldone c. Italia (sopra citata, §§ 71 72),) l'insufficienza del risarcimento «Pinto» non rimette in causa l’effettività di questa via di ricorso. Pertanto, è opportuno dichiarare questa doglianza irricevibile in quanto manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
I ricorrenti lamentano anche la violazione degli articoli 14, 17 e 34 della Convenzione, in quanto sarebbero stati vittime di una discriminazione fondata sulla ricchezza, tenuto conto delle spese sostenute per avviare i procedimenti «Pinto».
La Corte ritiene opportuno esaminare questi motivi di ricorso dal punto di vista del diritto di accesso a un tribunale rispetto all’articolo 6 della Convenzione. Essa osserva che, benché la legge italiana preveda l’ammissione al beneficio del gratuito patrocinio in materia civile, i ricorrenti non si sono avvalsi di questa possibilità. La Corte osserva, inoltre, che essi hanno potuto adire i giudici competenti ai sensi della legge «Pinto» e che le corti di appello hanno in parte accolto le loro richieste accordando loro delle somme per le spese processuali. Non si può parlare di ostacolo all’accesso a un tribunale quando una parte, rappresentata da un avvocato, si rivolge liberamente al giudice competente e presenta dinanzi a quest’ultimo le proprie argomentazioni. Non potendo rilevare alcuna apparenza di violazione, la Corte dichiara la doglianza relativa alle spese processuali irricevibile in quanto manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione (Nicoletti c. Italia (dec.), n. 31332/96, 10 aprile 1997).
I ricorrenti lamentano infine, sotto il profilo dell’articolo 6 della Convenzione, la mancanza di equità dei procedimenti «Pinto». I giudici «Pinto» non sarebbero imparziali in quanto dei giudici esercitano un controllo sulla condotta di altri colleghi e la Corte dei conti è tenuta ad avviare un procedimento per responsabilità nei confronti di questi ultimi qualora la lunghezza di un procedimento interno sia imputabile agli stessi.
La Corte rammenta che l'imparzialità di un giudice deve essere valutata secondo un approccio soggettivo, cercando di individuare la convinzione personale di un determinato giudice in una determinata occasione, e anche secondo un approccio oggettivo, assicurandosi che egli offrisse garanzie sufficienti per escludere qualsiasi dubbio legittimo al riguardo. Quanto al primo, l’imparzialità personale di un magistrato si presume fino a prova contraria. Tuttavia, nessun elemento del fascicolo porta a pensare che le giurisdizioni «Pinto» avessero dei pregiudizi. Quanto al secondo, esso porta a chiedersi se, indipendentemente dalla condotta del giudice, alcuni fatti verificabili autorizzino a sospettare dell’imparzialità di quest’ultimo.
Nella fattispecie, il timore di una mancanza di imparzialità derivava dal fatto che le corti d’appello avrebbero potuto respingere il ricorso dei ricorrenti in nome di uno «spirito di corpo» che porterebbe i giudici «Pinto» a rigettare sistematicamente le domande di equa soddisfazione per difendere la condotta di altri giudici. La Corte constata invece, da una parte, che le corti d’appello «Pinto» hanno accolto parzialmente le domande dei ricorrenti. D’altra parte, le affermazioni dei ricorrenti sono vaghe e non suffragate da elementi di prova. Pertanto, la Corte rigetta questi motivi di ricorso considerandoli nel complesso manifestamente infondati ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione (Padovani c. Italia, sentenza del 26 febbraio 1993, serie A n. 257 B, §§ 25-28).



IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»



A. Danno
I ricorrenti richiedono le somme seguenti per il danno morale che avrebbero subito.

Richiesta somma danno morale


Numero
N. ricorso
Somme richieste per il danno morale


1
32740/02
6.972,17 EUR (per la dedotta violazione dell’articolo 6) +

3.000 EUR (per le dedotte violazioni degli articoli 14, 17 e 34)


2
32742/02
10.587,37 EUR (per la dedotta violazione dell’articolo 6) +

3.000 EUR (per le dedotte violazioni degli articoli 14, 17 e 34)


3
32743/02
9.038 EUR (per la dedotta violazione dell’articolo 6) +

3.000 EUR (per le dedotte violazioni degli articoli 14, 17 e 34)


4
32748/02
14.202,56 EUR (per la dedotta violazione dell’articolo 6) +

3.000 EUR (per le dedotte violazioni degli articoli 14, 17 e 34)


5
32848/02
24.789,93 EUR (per la dedotta violazione dell’articolo 6) +

3.000 EUR (per le dedotte violazioni degli articoli 14, 17 e 34)






Il Governo contesta queste richieste.
Tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (sopra citata, §§ 139-142 e 146) e deliberando in via equitativa, la Corte accorda a ciascun ricorrente le somme indicate nella tabella seguente, comparate agli importi che essa avrebbe accordato per la violazione dell’articolo 6 della Convenzione in assenza di vie di ricorso interne, alla luce dell’oggetto di ciascuna delle controversie e dell’esistenza di ritardi imputabili ai ricorrenti.

Somme accordate dalla Corte


Numero
N. ricorso
Somma che la Corte avrebbe accordato

in assenza di vie di ricorso interne
Percentuale accordata

dal giudice «Pinto»
Somma accordata

per il danno morale


1
32740/02
9.100 EUR
14,20%
2.805 EUR


2
32742/02
7.800 EUR
23,10%
1.700 EUR


3
32743/02
10.400 EUR
12,40%
3.390 EUR


4
32748/02
9.100 EUR
25,50%
1.770 EUR


5
32848/02
7.800 EUR
34,40%
1.445 EUR





B. Spese
Producendo le relative parcelle, gli avvocati dei ricorrenti chiedono le somme seguenti per le spese relative al ricorso «Pinto» e al procedimento dinanzi alla Corte.




Somme richieste dagli avvocati dei ricorrenti

per le spese di ricorso


Numero
N. ricorso
Somme richieste per le spese


1
32740/02
7.193,55 EUR


2
32742/02
7.193,40 EUR


3
32743/02
7.193,55 EUR


4
32748/02
7.193,40 EUR


5
32848/02
7.268,46 EUR






Il Governo non ha preso posizione al riguardo.
La Corte rammenta che, secondo la sua giurisprudenza, l’attribuzione delle spese in virtù dell’articolo 41 presuppone che ne siano dimostrate la realtà e la necessità, e che il loro importo sia ragionevole (Can e altri c. Turchia, n. 29189/02, § 22, 24 gennaio 2008). Inoltre, le spese possono essere oggetto di rimborso solo nella misura in cui si riferiscono alla violazione constatata (si veda, ad esempio, Beyeler c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 33202/96, § 27, 28 maggio 2002; Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 105, CEDU 2003 VIII).
Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri sopra menzionati, la Corte considera ragionevole accordare la somma di 1.000 EUR a ciascuno dei ricorrenti per le spese.



C. Interessi moratori
La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

Decide di riunire i ricorsi e di esaminarli congiuntamente in una sola sentenza;
Dichiara i ricorsi ricevibili per quanto riguarda le doglianze relative alla durata eccessiva dei procedimenti (articolo 6 § 1 della Convenzione) e irricevibili per il resto;
Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
Dichiara



a) che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, entro tre mesi, le somme seguenti:



- per il danno morale ai ricorrenti, rispettivamente:



i. ricorso n. 32740/02: 2.805 EUR (duemilaottocentocinque euro) più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta;

ii. ricorso n. 32742/02: 1.700 EUR (millesettecento euro) più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta;

iii. ricorso n. 32743/02: 3.390 EUR (tremilatrecentonovanta euro) più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta;

iv. ricorso n. 32748/02: 1.770 EUR (millesettecentosettanta euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta;

v. ricorso n. 32848/02: 1.445 EUR (millequattrocentoquaranta-cinque euro più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta;



- per le spese:

1.000 EUR (mille euro) a ciascuno dei ricorrenti più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dai ricorrenti;



b) che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 16 luglio 2013, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.
Françoise Elens-Passos

Cancelliere aggiunto f.f.
Dragoljub Popović

Presidente


ALLEGATO


Numero
Numero del ricorso e data di presentazione
Dettagli sui ricorrenti
Procedimento principale e relativo procedimento «Pinto»


1
n. 32740/02

presentato il 21 luglio 2000
Carmela GALASSO

cittadina italiana, nata nel 1922, residente a Morcone (Benevento)
Procedimento principale

Oggetto: riconoscimento del diritto a una pensione di invalidità.

Primo grado: Pretura di Benevento (RG n. 4607/95), dal 1º giugno 1995 all’8 giugno 2000; 4 rinvii d’ufficio.

Secondo grado: tribunale di Benevento (RG n. 2944/00), dal 3 luglio 2000 al 30 dicembre 2002; un rinvio d’ufficio.



Procedimento «Pinto»

Autorità adita: corte d’appello di Roma, ricorso presentato nel 2001, somma richiesta 8.263,31 EUR per il danno morale.

Decisione: del 10 dicembre 2001, depositata il 18 dicembre 2001; constatazione del superamento di una durata ragionevole; 1.291,14 EUR per il danno morale e 568,10 EUR per le spese.

Data decisione definitiva: 27 aprile 2002.

Data comunicazione alla Corte dell’esito del procedimento nazionale: 24 luglio 2002.

Data pagamento risarcimento «Pinto»: 6 giugno 2003.


2
n. 32742/02

presentato il 18 febbraio 2000
Elena DI SISTO

cittadina italiana, nata nel 1942, residente a Sassinoro (Benevento)
Procedimento principale

Oggetto: riconoscimento del diritto a una pensione di invalidità.

Primo grado: Pretura di Benevento (RG n. 4188/93), dal 10 agosto 1993 al 14 ottobre 1994.

Secondo grado: tribunale di Benevento (RG n. 491/94), dal 31 ottobre 1994 al 19 ottobre 2000; sette rinvii d’ufficio.



Procedimento «Pinto»

Autorità adita: corte d’appello di Roma, ricorso presentato nel 2001, somma richiesta 12.394,96 EUR per il danno morale.

Decisione: 10 dicembre 2001, depositata il 20 dicembre 2001; constatazione del superamento di una durata ragionevole; 1.807,60 EUR per il danno morale; 568,10 EUR per le spese.

Data decisione definitiva: 27 aprile 2002.

Data comunicazione alla Corte dell’esito del procedimento nazionale: 24 luglio 2002.

Data pagamento risarcimento «Pinto» 9 giugno 2004.


3
n. 32743/02

presentato il 27 settembre 1999
Maria Grazia DI MICCO, ricorrente originaria, deceduta il 16 dicembre 2001. Procedura ripresa da Vito PATERNOSTRO, cittadino italiano, nato nel 1938, costituito nel procedimento il 1º marzo 2002 in qualità di erede
Procedimento principale

Oggetto: riconoscimento del diritto a una pensione di invalidità.

Primo grado: Pretura di Benevento (RG n. 1/95), dal 2 gennaio 1995 al 16 luglio 1999.

Secondo grado: tribunale di Benevento (RG n. 45624/99), dal 21 settembre 1999 al 22 aprile 2004.



Procedimento «Pinto»

Autorità adita: corte d’appello di Roma, ricorso presentato nel 2001, somma richiesta 10.329,13 EUR per il danno morale.

Decisione: 10 dicembre 2001, depositata il 18 dicembre 2001; constatazione del superamento di una durata ragionevole; 1.291,14 EUR per il danno morale; 568,10 EUR per le spese.

Data decisione definitiva: 27 aprile 2002.

Data comunicazione alla Corte dell’esito del procedimento nazionale: 24 luglio 2002.

Data pagamento risarcimento «Pinto»: 6 giugno 2003.


4
n. 32748/02

presentato il 23 gennaio 1999
Mario ANTENUCCI

cittadino italiano, nato nel 1937, residente a Faicchio (Benevento)
Procedimento principale

Oggetto: riconoscimento del diritto a una pensione di invalidità.

Primo grado: Pretura di Benevento (RG n. 2264/89), dal 20 ottobre 1990 al 23 marzo 1995; 4 rinvii d’ufficio.

Secondo grado: tribunale di Benevento (RG n. 274/95), dal 12 aprile 1995 al 18 febbraio 1999; un rinvio d’ufficio.



Procedimento «Pinto»

Autorità adita: corte d’appello di Roma, ricorso presentato nel 2001, somma richiesta 16.526,62 EUR per il danno morale EUR.

Decisione: del 10 dicembre 2001, depositata il 19 dicembre 2001; constatazione del superamento di una durata ragionevole; 2.324,05 EUR per il danno morale e 568,10 EUR per le spese.

Data decisione definitiva: 27 aprile 2002.

Data comunicazione alla Corte dell’esito del procedimento nazionale: 24 luglio 2002.

Data pagamento risarcimento «Pinto»: 6 giugno 2003.


5
n. 32848/02

presentato il 16 novembre 1998
Maria Libera BOZZUTO

cittadina italiana, nata nel 1940, residente a Castelpagano (Benevento)
Procedimento principale

Oggetto: riconoscimento del diritto a una pensione di invalidità.

Primo grado: Pretura di Benevento (RG n. 5971/93), dal 10 novembre 1993 al 31 marzo 1995.

Secondo grado: tribunale di Benevento (RG n. 354/95), dal 23 maggio 1995 all’11 ottobre 2000.



Procedimento «Pinto»

Autorità adita: corte d’appello di Roma, ricorso presentato nel 2001, somma richiesta 26.855,75 EUR per il danno morale.

Decisione: 13 dicembre 2001, depositata il 6 febbraio 2002; constatazione del superamento di una durata ragionevole; 2.065,83 EUR per il danno morale; 500 EUR per le spese.

Data decisione definitiva: 15 novembre 2002.

Data comunicazione alla Corte dell’esito del procedimento nazionale: 8 aprile 2002.

Data pagamento risarcimento «Pinto»: 30 giugno 2003.



Commenti