1° Maggio: «Festa del Lavoro», la filastrocca di Mimmo Mòllica

1° Maggio Festa del lavoro. La «Filastrocca del Lavoro» di Mimmo Mòllica racconta in versi e strofe questa importante ricorrenza. E noi la proponiamo a grandi e piccini per celebrare la «Festa del Lavoro e dei Lavoratori».  «Filastrocca del lavoro» di Mimmo Mòllica   Caro babbo che cos’è il lavoro? dei bambini domandano in coro a un papà stanco e pure affannato, dal lavoro appena tornato. Ed il babbo risponde a fatica «serve a vivere, è una regola antica». Ed aggiunge: «… ed inoltre, sapete il lavoro è passione, è volontà e decoro». «E che cosa vuol dire decoro?», ribatterono subito loro. «È nell’opera di un falegname, è Van Gogh, è in un vaso di rame». «È Geppetto e il suo pezzo di legno, è Pinocchio, è Collodi e il suo ingegno, è donare qualcosa di noi senza credersi dei supereroi». «È costruire un gran bel grattacielo, è Gesù quando spiega il Vangelo, compiacersi di quello che fai, è dolersene se non ce l’hai!». Però un tipo iniziò a blaterare: «È pagare la gente per non lavorare, s

MODUGNO, LA DIGNITÀ DELL’ASINO E DEL CAVALLO CIECO DELLA MINIERA

Domenico Modugno nel brano "Lu sciccareddu 'mbriacu", racconta l'umanissima storia di un asino che non voleva saperne di camminare. "Cavaddu cecu de la minera" è la tragica storia di un cavallo divenuto cieco per essere stato costretto a trascinare il suo carico bestiale sotto il sole rovente ed accecante. E nella cultura classica e moderna l’asino trova la sua piena dignità d’essere umano... Perfino in politica con l'asinello simbolo de I Democratici, partito italiano fondato da Romano Prodi...

24/03/2015 – L’asino nella canzone, così come lo ha descritto il ‘poeta’ Domenico Modugno... Lu sciccareddu 'mbriacu è la sagace e umanissima storia di un asino che non voleva saperne di camminare, malgrado l’ira del padrone, le bastonate, le frustate e i calci. Finché l’uomo non si imbatte in un conoscente che gli suggerisce di far bere all’asinello un po' di vino:"Perché gli asini - sentenzia il conoscente - quanto più il padrone si arrabbia, quanto più li maltratta, tanto meno camminano. E invece, se lo tratti con gentilezza, l’asino si dimentica d'essere stato trattato male e si metterà a camminare". Così il padrone gli dà da bere, prima un po’ e dopo un secchio intero di vino, tanto che alla fine l'asino, ubriaco, si mette a ragliare per tutto il paese, sdraiandosi a terra per poi addormentarsi beatamente.
Una bellissima prova d’autore per uno dei più grandi cantautori italiani di tutti i tempi, Domenico Modugno, che umanizza la bestia fino a dargli la stessa dignità dell’uomo; fino a tirare fuori dal suo magico cilindro di poeta il dramma e la soluzione, la catarsi che non eleva solo l’uomo dal suo quotidiano grigiore, ma dà alla bestia la voce che gli manca: almeno quella mediatica, che invade i talk show e imbottisce i giornali e le rassegne stampa. Ma ecco Modugno tornare sull’argomento dell’asino con Cavaddu cecu de la minera, quello che fu l'ottavo disco singolo del cantautore di Polignano a Mare, altro brano magistrale legato alla cultura popolare del Salento.

Cavaddu cecu de la minera è la tragica storia di un cavallo divenuto cieco per essere stato costretto a trascinare il suo carico bestiale sotto l'improvviso sole rovente ed accecante, dopo il lungo buio della miniera. Brano che Modugno propose nell'antologia Tutto Modugno col titolo in italiano Il cavallo cieco della miniera. E nella cultura classica e moderna l’asino trova la sua piena dignità d’essere umano in L'asino d'oro di Apuleio; L'asinella parlante del mago Balaam (storia narrata nella Bibbia, libro dei Numeri); L'asino di Buridano; Platero, l'asino amico dello scrittore Juan Ramón Jiménez nel libro "Platero y yo". E perfino in politica con l'asinello simbolo de I Democratici, partito italiano fondato da Romano Prodi nel 1999. Ma l’asino assume la sua massima dignità nella storia dell’uomo nel Presepe, più amorevole e generoso che mai, sempre accanto a Chi si è fatto Uomo per salvarci.

‘Passaggio’, questo, che mi permetterà di concludere con quello che avrei voluto fosse l’argomento principale di questa dissertazione. Uno dei brani più conosciuti della tradizione canzonettistica siciliana (U sciccareddu) è infatti dedicato all’asino, come compagno di vita e di sentimenti, come essere umanizzato ed amato, tanto da volere cantare il proprio strazio, la propria costernazione per la sua prematura, inaspettata morte violenta (“ora me lo ammazzarono / povero scecco mio”). Si, in Sicilia l’asino si chiama sceccu, ma non ssceccu perchè è testardo come certi politici, e basta!
piegherò ora il perché: si chiama

Avìa nu sciccarèddu / ch’era ‘na cosa fina, / ora mi l’ammazzàru pòveru sceccu miu.
Chi bella vuci avìa, / parìa un gran tinùri, / sciccarèddu di lu me cori comu iu t’haiu 'a scurda'’? / Sciccarèddu di lu me cori / comu iu t’haiu 'a scurda'?

Certo, come potrà mai scordarsi di lui, che tanto gli è stato accanto e lo ha servito, per tutta la vita? Ma c’è un verso, nella canzone, sul quale intendo soffermarmi. Anzi, ho scritto tutto ciò per potermi soffermare su questa strofa:

Quannu ‘ncuntràva un cumpàgnu / sùbitu lu ciaràva / e dopu l’arraspàva / cu' tanta carità.

Traduco: "Quando incontrava un suo simile, subito lo odorava (lu ciaràva) e dopo, caritatevole, lo raspava…

Proprio così dice il testo della canzone? Non credo proprio... Credo - piuttosto - che l’asinello lo “ciatàva”, con la 't' e non lo “ciaràva” (con la 'r'): perché ‘fiatare’ è il sacro compito dell’asino, come già fa da duemila anni, ogni Natale col Bambino. Lo ciàta (lo ‘fiata’) per scaldarlo, in attesa che nelle stalle, gli epigoni di Erode, i suoi eredi, la smettano di lanciare Editti.

Ecco! Solo per quello l’uomo avrebbe fatto bene a maltrattare l’asino: per non avere assestato un bel calcione nel sedere ad Erode e a tutti i suoi eredi che ingombrano la vita umana con gli editti e con gli omissis!

Mimmo Mòllica

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