12/03/2020 - Nino Martoglio rappresenta per la Sicilia ciò che Salvatore Di Giacomo e Ferdinando Russo rappresentano per Napoli; Cesare Pascarella e Trilussa per Roma; Renato Fucini per la Toscana; il Selvatico e il Barbarani per il Veneto. “Voci native che dicono le cose della loro terra, come la loro terra vuole che siano dette per esser quelle e non altre, col sapore e il colore, l'aria, l'alito e l'odore con cui vivono veramente e si gustano e s'illuminano e respirano e palpitano lì soltanto e non altrove”, Luigi Pirandello, 18 settembre 1921.
Nino Martoglio, poeta, commediografo acclamato, autore di memorabili commedie in lingua italiana e siciliana, che gli procurarono trionfi ma pure amarezze. “Nessuno forse immagina quanto gli costò d'amarezze, di cure, di fatiche e anche di denari”, scrive ancora Luigi Pirandello nella sua prefazione a «Centona», raccolta di poesie siciliane (Giannotta Editore, 1948).
Ma ecco come Nino Martoglio mise in ‘burla’ quella epidemia che funestò la società in quegli anni, con un sonetto di profonda verità popolare che descrive tutto il fatalismo e il moralismo del popolo, attraverso la sua sua impareggiabile verve e la sua pungente ironia.
“Lui solo, povero Nino, non potrà più soffrirne o goderne. Morì per uno sciagurato incidente, aprendo per sbaglio una porta che dava in un baratro”. (M.M.)
A 'NFRUENZA
– E chi sacciu, cummari Pruvirenza!..
Iu sempri dicu, 'ntra la mê 'gnuranza,
câ siddu non facemu pinitenza
muremu tutti, nobili e mastranza!...
L'èbbichi su' canciati!... La 'mprudenza
di l'omu è tali câ non c'è spiranza
di sarvarini l'arma e la cuscenza...
E paradisu nuddu cchiù nn'accanza!
A 'dd'èbbica chi c'era 'sta 'nfruenza,
e chi c'era – parrannu ccu crianza –
'stu corpu sempri sciotu, 'n pirmanenza?
Chista è manu di Diu câ non si scanza!...
E vui, bellu, parrannu 'n cunfidenza,
macari l'âti fattu ôcche mancanza!...
Nino Martoglio
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L’INFLUENZA
- E che ne so, comare Provvidenza!..
Io dico sempre, nella mia ignoranza,
che se noi non facciamo penitenza
moriamo tutti, nobili e maestranza!..
Le epoche son cambiate! L’imprudenza
dell’uomo è tale che non c’è speranza
di salvarci l’anima e la coscienza…
E paradiso più nessuno ne guadagna!
Una volta c’era questa influenza?
E che c’era - parlando con creanza -
‘sto corpo sempre sciolto, in permanenza?
Questa è la mano di Dio che non si scanza!
E voi, bello, parlando in confidenza,
pure l’avete fatta qualche mancanza!..
(traduzione Mimmo Mòllica)
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Note. – 'A nfruenza (l'influenza) – Chi sacciu (che so) –
Siddu (se) – L'èbbichi (le epoche, i tempi) – Nuddu
(nessuno) – Accanza (da accanzari: ottenere conseguire)
– Sciotu (sciolto) – Ãti (avete) – Õcche (qualche).
Colera: nel luglio 1835 l'epidemia prese a diffondersi da Nizza a Torino. Nell’ agosto si diffuse a Genova e toccò Livorno. Fu contagiata Pisa e poi fu la volta di Firenze e Lucca. Mercanti partiti forse da Genova raggiunsero Chioggia e il colera invase il Regno Lombardo-Veneto. A ottobre ‘svarcò’ a Venezia, un mese dopo novembre a Trieste estendendosi in Dalmazia. Da Venezia l’epidemia di colera passò a Padova, a Verona e Vicenza. Arrivò a Bergamo e l’anno dopo a Como, Brescia, Cremona, Pavia e Milano.
Il colera arrivò a Napoli. Nella primavera del 1837 il contagio scoppiò nuovamente a Napoli, passò in Calabria, a Malta e in Sicilia. Da Cefalù e Trapani toccando in seguito Catania, Palermo e Siracusa. Intorno alla fine del 1837 si ebbero gli ultimi casi a Catania e Palermo. L’epidemia aveva risparmiato solo l'isola d'Elba e la Sardegna.
Le città colpite dal colera riuscirono a sconfiggere l'epidemia in 70-100 giorni.
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