«Giufà» in Sicilia è sinonimo di persona sciocca, stolta e imprevedibile, capace di autentiche asinate, ma paradossalmente pure delle più banali ‘verità’, caratterizzate da concettosa, pedantesca ostentazione di saggezza.17 ott 2022 - Le sue avventure, le sue cavolate fanno parte di un filone di storielle e racconti divenuti le "storie di Giufà", definitivamente entrate nella narrativa popolare mediterranea. Eppure «Giufà» sarebbe figura di origine araba (Giūḥah"), non siciliana, ed anzi i ‘
giufà’ sarebbero tanti, piuttosto diffusi tanto nell'area centrale d’Italia (Giufà, Giuvà, Giucà, Jofà, Jufà, Jmgale, Jugane), Giuvale in Calabria, Giucca in Toscana, Lazio e Marche); quanto nel Veneto (Mato) o nel Piemonte (Giromett).
Per Giuseppe Pitrè «Giufà» è lo sciocco leggendario a cui si attribuiscono tutte le scempiaggini tradizionali che il popolo ha bisogno di personificare in un uomo”.
Per accedere alle sue asinate si racconta di quella volta in cui Giufà “andò a ricorrere al giudice perché le mosche osavano molestarlo”. Il giudice non sapendo che fare gli ordinò di uccidere tutte le fastidiose mosche che gli venissero a tiro. E Giufà non si fece attendere: nell’istante, infatti, una mosca andò a posarsi sulla fronte del giudice e Giufà senza esitare gli sferrò un pugno sulla testa e gliela ruppe.
In Toscana l’analoga storiella ha per protagonista una donnina anziché il giudice; in altra versione destinatario dell’asinata di Giufà è un commissario, e così via.
Lo scrittore francese Jean de La Fontaine (1621) raccontò questa stessa favoletta nell'
Ours et le jardinier (L'orso e l'amante del giardino). Un secolo prima, Gian Francesco Straparola (1480-1557) raccontava le storielle di Fortunio, uno sciocco al servizio di uno speziale di Ferrara che dovendogli cacciare le fastidiose mosche gli assestò un colpo di pestello in piena fronte per spiaccicarne una fastdiosissima.
Stando al Pitrè, di questa novellina si troverebbe la fonte nel Pañchatantra, la più famosa e antica raccolta di favole indiane: un re si faceva vegliare il sonno dalla sua scimmia favorita quando un'ape andò a posarsi sulla sua testa. La scimmia, armata di scimitarra, non sapendo che altro fare mise mano alla sciabola facendo fuori l'ape ma pure il re.
Buddha, analogamente, tramanda di un legnaiuolo calvo, infastidito da una zanzara, che chiama il figlio in suo soccorso. E il figlio non perde tempo: corre a prendere una scure e dà addosso alla zanzara, col risultato che possiamo immaginare.
La stoltezza di Giufà, e il precetto morale, dunque, («Ricordati del re e dell'ape!») passando per Fedro ed Esopo, risalirebbe nel tempo alla favola del Panschatantra, di origine indiana.
Personaggi dal nome differente ma somiglianti per natura: per i Siciliani chi ne fatte di tutti i colori altri non è se non «Giufà». I Napoletani hanno Vardiello, i Greci di Terra d'Otranto Trianniscia, i Piemontesi Simonëtt, i Toscani Giucca, i Veneziani El mato, i Tirolesi Turlulù, i Lombardi Meneghino, i Bolognesi con altri italiani Bertoldo e Bertoldino, i Catalani Benoyt, i Greci Bakalà (non estraneo alla Sicilia).
E così, Siciliani, Napoletani, Piemontesi, Toscani, Veneziani, Lombardi, Spagnuoli e Greci , con differenti nomi ma identica personalità, apostrofiamo lo sciocco affermando:
«Nni fici cchiù di Giufà!».
E «Giufà» non manca di ricordarci Pasqualino Maraja, fantasiosa creatura di Franco Migliacci e Domenico Modugno:
Pasqualino Maraja'
Ha imparato a far l'indiano
E da buon napoletano
Chiama tutti
Ue', paisà! m.m.
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«Nni fici cchiù di Giufà!»: Ne ha combinate più di Giufà.
* Giuseppe Pitrè, Fiabe novelle e racconti popolari siciliani
Immagine: dalla copertina del volume di Filippo De Franco, Le storie di Giufà.
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