Polifemo è tra i personaggi mitici più ‘riconoscibili’, per quell’unico occhio rimastogli, dopo che Ulisse “ubbriacollo, e poi con un grossissimo palo bruciato gli forò l'occhio”. Essere mostruoso, ghiotto di carne umana e ovina, residente in una grotta, eppure ospitale con lo straniero al punto da invitarne a mangiare con lui carne allo spiedo, a meno poi di farne fuori un paio per la rabbia. 18/10/2022 - Gran mostro, Polifemo abitava in una grotta cibandosi di carne umana e di pecore, 20 delle quali ne uccise invitando gli ospiti a banchettare con lui, dopodiché con una enorme pietra chiuse la bocca della grotta, e con un ferro infuocato trafisse a morte un paio degli invitati a 'pasta e carne'. E Ulisse che approfitta per arroventare un ferro col quale acceca quel mostruoso essere per scampare alle sue minacce, salvando la vita sua e dei compagni di viaggio e di procella.
“Canta Omero che Polifemo, ciclopo altissimo e fortissimo, viveva in un antro di Sicilia cibandosi di carne umana. Ulisse, reduce da Troja, balzato dalla tempesta sui lidi siciliani, cadde con dodici de' suoi compagni in mano a questo cannibale, il quale sei di essi mangiò, minacciando di fare altrettanto del loro duce e degli altri compagni”.
Scrive ancora Giuseppe Pitrè*: “Ulisse ubbriacollo, e poi con un grossissimo palo bruciato gli forò l'occhio. Polifemo, già cieco, trascinossi brancolando alla bocca dell'antro, cui egli solea chiudere con enorme masso, e attese che coll'uscire del gregge al nuovo giorno uscisse pure l'audace che avealo accecato. Ma Ulisse più accorto di lui usò lo stratagemma di legare tre volte di seguito tre montoni, e sotto a quello di mezzo, uno dei suoi compagni: ed egli si attaccò sotto ad un ariete nascondendo le braccia in mezzo alla folta lana; onde fu elusa la vigilanza dell'immane mostro, disperato di non esser riuscito a vendicarsi di tanto danno”.
Polifemo è dunque un mostro che mette paura e Ulisse è un naufrago migrante, approdato nell'Isola dopo un fortunale di mare.
“I nostri fraticelli, evidentemente nomadi perché questuanti, smarrirono la via e si misero per un sentiero che li condusse alla grotta. Entrambi i due mostri sogliono turar l'antro, entrambi accecati ne rimuovono a tentoni il gran masso, per ghermire entrambi il temerario feritore, che nel mito e nella novella ricorre ad uno stesso espediente”.
“Per chi cerchi nelle novelle il simbolo, l'allegoria, troverà in questo la lotta del bene col male, della luce colle tenebre: troverà anche di più: la vittoria del piccolo eroe, del debole virtuoso sopra il mostro prepotente. La nostra versione siciliana, di molta importanza per lo studio della Mitologia, è da aggiungere alle altre versioni del racconto greco state raccolte e studiate da Guglielmo Grimm nella sua Tradizione di Polifemo”.
m.m.
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* Giuseppe Pitrè, Fiabe novelle e racconti popolari siciliani, vol 1
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