Erano le ore 5, 20 minuti e 27 secondi del 28 dicembre 1908 quando un terremoto di magnitudo 7,1 Mw si abbatteva sulle città di Messina e Reggio Calabria, portando con sé la vita di metà della popolazione di Messina e di un terzo di Reggio Calabria. Trentasette secondi di distruzione e tracollo, uno degli eventi sismici più catastrofici del XX secolo, la più grave catastrofe naturale in Europa. Responsabile del terremoto la faglia Messina-Taormina, al largo della costa siciliana, lungo lo Stretto di Messina.
28/12/2022 - Il giorno seguente, martedì 29 dicembre 1908, navi russe e britanniche, alla fonda a Siracusa e ad Augusta, portarono i primo soccorsi. Gli aiuti italiani arrivarono in ritardo in quanto le imbarcazioni idonee dovettero muoversi da Napoli. Tre giorni dopo arrivava a Messina Gaetano Quasimodo, capostazione, portando con sé la famiglia e il figlio Salvatore di 7 anni, che sarebbe stato futuro premio Nobel per la letteratura: Salvatore Quasimodo. Il padre era stato inviato a Messina a dirigere il traffico ferroviario, vivendo su due vagoni ferroviari per alcuni mesi.
Il ritardo degli aiuti Il ritardo degli aiuti e dei soccorsi da parte del Governo italiano fu motivo di dure critiche e polemiche e di ‘epurazioni’ e crimini vari. A Messina, la più duramente colpita, rimasero sotto le macerie ricchi e poveri, autorità civili e militari.
La stampa mosse dure critiche al Governo e Re Vittorio Emanuele III la mattina del 30 dicembre 1908, due giorni dopo il tremendo terremoto, sbarcò a Messina assieme ai ministri Vittorio Emanuele Orlando, Carlo Mirabello e Pietro Bertolini. Ad attenderlo, sulla banchina del porto, c’erano il Prefetto Adriano Trinchieri e il Sindaco di Messina Gaetano D'Arrigo Ramondini, il quale non mancò di sottolineare al cospetto del sovrano come gli aiuti fossero giunti ai messinesi dai russi ma non dagli italiani.
E Re Vittorio Emanuele III non perse tempo destituendo dalla carica di sindaco Gaetano D'Arrigo, reo
di avere detto la verità in faccia al sovrano. Proclamato lo stato d'assedio, Vittorio Emanuele III conferì i pieni poteri al generale Francesco Mazza. Il 5 gennaio 1909, con un proprio ordine del giorno, il re rivolgeva un solenne elogio al personale italiano e straniero, “impegnato con grave sacrificio nell'adempimento dei compiti assegnati”.
Il generale Mazza e i pieni poteriNominato Regio Commissario straordinario della città di Messina, assunti i pieni poteri in una città in stato d'assedio devastata dal catastrofico sisma, Mazza si sostituì al sindaco Gaetano D'Arrigo Ramondini, accusato di avere abbandonato la città distrutta e di essersi reso irreperibile per una intera giornata.
Il generale Mazza dopo un mese circa venne sostituito da un commissario civile, non essendosi dimostrato capace di far fronte all’immane emergenza, affastellando una serie nutrita di gravi errori. L’operato del generale Mazza fu oggetto di aspre e gravi critiche. La pubblicazione di approfondimenti sui fatti misero in risalto come Mazza impartisse gli ordini rimanendo sempre a bordo di una nave militare ormeggiata al porto di Messina senza mai mettere i piedi a terra.
Fare incetta dell'oro delle banche e delle case
Mazza si preoccupò di ordinare che tutto l’oro ritrovato tra le rovine delle banche e delle abitazioni cittadine venisse recuperato e consegnato, unitamente a denaro e beni di valore. I soccorsi ai feriti sotto le macerie potevano attendere.
A completamento delle sue nefandezze, il generale Mazza ordinò di cannoneggiare case distrutte e macerie della città di Messina mentre venivano ancora ritrovate e soccorse persone vive sotto le macerie.
Sciacalli veri e finti
In tale clima e con tale ‘maestro’, molti militari italiani (ai suoi ordini) si macchiarono di crimini ed abusi ai danni della popolazione terremotata: la fucilazione di un ragazzo di appena 15 anni viene ricordata come una delle crudeltà raccapriccianti di cui il ‘contesto generalizio e militare’ si macchiò nei giorni successivi al terremoto di Messina del 28 dicembre 1908.
Il 15enne fu accusato di rovistare da ‘sciacallo’ tra le macerie mentre il ragazzo tra le macerie cercava i propri genitori. All’esecuzione del giovane 15enne ne seguirono altre: esecuzioni sommarie di cittadini messinesi fatti passare per sciacalli, ma in realtà intenti a rovistare tra le macerie delle proprie abitazioni nella speranza di riuscire a racimolare qualcosa per nutrirsi o ripararsi dal freddo di quell’inverno sciagurato.
Non si fucilò chi rubava ai vivi
Il giornalista de «l'Avanti! », Oddino Morgari, così scrisse: "si fucilavano coloro che rubavano ai morti, sempre che non stessero cercando i propri cari sotto le macerie, quando invece non si fucilò chi rubava ai vivi". Il riferimento era ai notevoli furti commessi dai militari italiani al comando del generale Mazza, la cui sciagurata gestione di in una città in stato d'assedio, devastata dalla catastrofe, fu destinata a restare nella ‘storia’ con una espressione divenuta un forbito modo di dire: "non capire una mazza".
Non capire una mazza
Si spiega così l’origine di un’espressione coniata dai messinesi durante il Terremoto del 1908: un ‘omaggio’ a colui che avrebbe dovuto portare aiuto ad una città distrutta e con i suoi figli ancora sotto le macerie, ma che ha saputo solo distinguersi per crudeltà e nefandezze, per incapacità e inefficienza.
«Non capire una mazza» rimane così nel vocabolario popolare dell’insensibilità e ancora di più dell’ottusità.
m.m.
Commenti
Posta un commento
NEBRODI E DINTORNI © Le cose e i fatti visti dai Nebrodi, oltre i Nebrodi. Blog, testata giornalistica registrata al tribunale il 12/3/1992.
La redazione si riserva il diritto di rivedere o bloccare completamente i commenti sul blog. I commenti pubblicati non riflettono le opinioni della testata ma solo le opinioni di chi ha scritto il commento.