28/12/2009 – Vent’anni di Museo del costume e della moda siciliana, a Mirto (Messina), valgono bene una tavola rotonda attorno alla quale compiacersi e gettare le linee d’orizzonte per il prossimo ruolo da affidare a tale creatura, riconducibile
all’arch. Pippo Miraudo, vero iniziatore del museo. Mirto, sui Nebrodi, in provincia di Messina, in collina a 428 metri sul livello del mar Tirreno, è raggiungibile tramite la strada provinciale n° 157, in collina.
Mirto ha il suo passato tra le dominazioni bizantina e quella dei Normanni, ma la sua origine è indubbiamente più remota. Belle le chiese, i palazzi e le edicole votive.
Uno di questi bei palazzi, il palazzo Cupane, è sede del Museo del costume e della moda siciliana.
Lo scorso sabato 26 dicembre, ultimata la tavola rotonda summenzionata, eravamo diretti ad altra manifestazione, una recita natalizia di bambini.
Ma la piazza non ci ha dato scampo: un ceppo ardeva senza clamori, attorniato da un manipolo di ‘facinorosi’ che avevano allestito un buffet proprio accanto ad una piccola chiesa.
Il tavolo era sormontato da profumatissimo pane casereccio, gelatina di maiale, salsiccia pronta per la brace, olive e peperoncini il salmoia ed altri prodotti della campagna e dell’industri manifatturiera domestica locale.
Quello che in ogni lingua, compresa quella italiana, prende il nome di ‘ben di Dio’.
Senza che l’oscurantismo si impossessasse di noi ci siamo guardati in faccia, salutati, invitati, saziati, compiaciuti, riconosciuti….
Alcuni degli ‘organizzatori’ sono soci del locale Archeo Club, che di fronte a quella chiesa il cui ingresso è sormontato da un bellissimo arco gotico hanno accettato di buon grado di appartenere, per una sera, all’Arco Club.
Dopo avere ripassato i nomi tradizionali del cibo e dei sapori, del macellaio e delle massaie che avevano preparato quelle cose buone, che abbiamo immaginato ‘sostenibili’, abbiamo ringraziato e salutato.
Poi abbiamo ringraziato Dio e ce ne siamo andati, in macchina, canticchiando:
“Avia ‘nu sciccareddu / ch’era ‘na cosa fina / ora mi l’ammazzaru / poviru sceccu miu; chi bella vuci avia / paria un gran tinuri / sciccareddu di lu me cori / comu iu ‘aiu a scurdari”.
E dalle colline dei Nebrodi siamo scesi verso il mare Tirreno.
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