Vendita AGI, Antoci: “Operazione priva di trasparenza. Si applichi il Media Freedom Act”

Vendita AGI, Antoci (Capolista M5S Collegio “Isole”): “Operazione priva di trasparenza. Si applichi il Media Freedom Act”. Nota Stampa di Giuseppe Antoci, candidato capolista circoscrizione “Isole” alle elezioni europee col MoVimento Cinque Stelle 4 mag 2024 - "Lascia sgomenti la decisione di ENI, azienda partecipata dello stato, di trattare la cessione dell'agenzia di stampa AGI con il parlamentare leghista Angelucci. Un'operazione "folle", come giustamente definita da Giuseppe Conte. Altrettanto allarmante è il fatto che la vendita si stia realizzando mediante una trattativa privata in assenza di un bando di gara a tutela della trasparenza dell'operazione. Bisogna arginare condotte come queste applicando il "Media Freedom Act", legge europea per la libertà dei media tesa a proteggere i giornalisti e i media dell'UE da ingerenze politiche o economiche e ad evitare la concentrazione dei media sotto il controllo politico (come nel caso di Angeluc

DA GIAMPILIERI A BOLZANO, IL RISCHIO IDROGEOLOGICO E LE FRANE MINACCIANO IL 70% DEI COMUNI ITALIANI

16/04/2010 - A Roma, ieri 15 Aprile, nella Sala Auditorium di via Curtatone 7, si è tenuta la presentazione dell'Annuario dei Dati Ambientali 2009 con l'introduzione del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Stefania Prestigiacomo, e presieduta dal Prefetto Vincenzo Grimaldi, Commissario ISPRA. E' stata presentata la versione integrale dell’ottava edizione dell’Annuario dei dati ambientali. In tutto cinque i prodotti editoriali che caratterizzano la pubblicazione dei dati elaborati nel corso del 2009: l’”Annuario” e la sua versione pocket,
il “Vademecum”; “Tematiche in primo piano”; un “Database” per la consultazione telematica; un “Multimediale”, strumento per una comunicazione semplice e immediata attraverso filmati e applicazioni web.

Secondo i dati presentati ieri a Roma dall’ISPRA sono tre i rischi più gravi e impellenti in Italia, tutti quanti dovuti alla precarietà del suolo che ne determina gli esiti negativi: il rischio sismico, le frane e le alluvioni. I dati ambientali presentati dall’Ispra 2009 (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) sono ben più approfonditi e drammatici ma possono essere ricondotti ai cambiamenti climatici, al dissesto idrogeologico, alla qualità dell'aria e delle acque interne, per andare a definire il rischio ambientale nel complesso.

Poi c’è il rischio sismico e geologico-idraulico che per il biennio 2008-2009 fa particolare riferimento alla costa calabra, all'area del Frignano e agli calamitosi dell'Aquila.

Un capitolo importante e davvero ‘pesante’ riguarda il censimento delle frane: l’Ispra ne ha individuate più di 485.000, su un'area di oltre 20.700 km quadrati (il 6,9% dell’intera penisola) con 5.708 comuni italiani interessati (70,5% del totale).

Numerosissime sono state le interruzioni della viabilità primaria e secondaria (Autostrada A3 Salerno-
Reggio Calabria, A14 Vasto-Termoli, A20 Messina-Palermo), delle linee
ferroviarie (es. Potenza-Battipaglia, Battipaglia-Sapri, Catania-Caltanissetta).
In particolare, il 25 gennaio 2009 una frana ha invaso circa
20 m di carreggiata dell’autostrada A3, tra gli svincoli di Rogliano e
Altilia-Grimaldi, causando 2 morti e 5 feriti. L’elevato livello di criticità
dell’area e il moltiplicarsi degli allarmi hanno determinato la chiusura
per diversi giorni di circa 60 km della Salerno-Reggio Calabria.
Nel 2009 si sono verificati altri due eventi di particolare gravità: la
frana di Cancia nel comune di Borca di Cadore (BL) e le colate rapide
nei comuni di Messina e Scaletta Zanclea (ME). A Cancia, nella prime
ore del 18 luglio 2009, a causa delle intense precipitazioni, si è innescata,
dalle pendici sud-occidentali del massiccio dell’Antelao, una
colata rapida di detrito che ha determinato il riempimento e lo sfondamento
della vasca di accumulo (opera di difesa provvisoria predisposta
dal Genio Civile nel 2000, essendo questo tipo di fenomeno
ricorrente nell’area colpita) che ha invaso le abitazioni sottostanti,
causando due vittime.

Il 1° ottobre 2009 in provincia di Messina, una violentissima perturbazione, con oltre 200 mm di pioggia nelle 24 ore, si è abbattuta sulla Sicilia nord-orientale, colpendo la fascia ionicamessinese compresa tra Messina (con le frazioni di Briga, Giampilieri, Molino, Altolia, Pezzolo), Scaletta Zanclea e Itala. Nella stessa zona,
la cumulata delle piogge tra il 15 e il 30 settembre 2009 è stata di
300 mm, con un totale di circa 500 mm nel periodo 15 settembre -
1° ottobre (Rapporto sull’evento meteo 1° ottobre 2009, regione Sicilia
– Dipartimento della Protezione Civile, 2009). Risulta evidente come
i terreni fossero già imbibiti d’acqua e l’evento meteorologico del 1°
ottobre, già rilevante per i quantitativi di pioggia, abbia determinato
l’innesco di numerosi e diffusi fenomeni franosi quali crolli e scivolamenti
superficiali evoluti in colate rapide di fango e detrito che hanno
investito, con spessori anche di 2-3 metri, abitati e infrastrutture,
causando 31 vittime e 6 dispersi. L’interruzione della Strada statale
114 Orientale Sicula, dell’Autostrada A18 e della ferrovia Messina-
Catania hanno determinato per alcuni giorni un totale isolamento di
alcune frazioni, raggiungibili solo via mare o via aerea.

Le cause

Fenomeni quali terremoti, eruzioni vulcaniche, dissesti gravitativi
ed eventi alluvionali sono ricorrenti a causa del particolare
contesto geologico in cui si trova il nostro Paese. Proprio attraverso
tali processi, spesso di carattere eccezionale, si esplica
maggiormente il modellamento e la trasformazione della superficie
terrestre. Queste manifestazioni, essendo collegate a fenomeni
naturali, comportano un rischio legato alla loro probabilità
di accadimento e all’interazione con elementi connessi alle attività
umane; pertanto, la loro evoluzione e tendenza al dissesto,
per lo più gravitativo e/o idraulico, viene influenzata dalla compresenza
e dalla reciprocità di fattori naturali e antropici.
Le componenti naturali che condizionano le manifestazioni di
dissesto sono variabili e legate principalmente alla particolare
conformazione geomorfologica e all’assetto geologico-strutturale
del territorio italiano, alla tipologia e alla distribuzione delle coperture
vegetazionali e alle condizioni meteoclimatiche. Per ciò che
concerne la componente antropica, un ruolo preponderante riveste
l’utilizzo del territorio sempre meno attento alle caratteristiche dei
delicati ambienti naturali. Spesso, infatti, negli aspetti gestionali
non viene rispettata la vocazione “ambientale” del territorio,
permettendo la progettazione ed esecuzione di opere e infrastrutture
sempre più invasive (come, ad esempio argini, dighe, canali,
bonifiche, muri di sostegno) che impediscono un’evoluzione
secondo le dinamiche naturali.

L’evoluzione dell’ambiente naturale è dunque dinamica e variabile,
non assoggettabile a semplici modelli. Riprova del fatto
ne sono le mutevoli condizioni climatiche cui, anche e soprattutto
l’Italia, è stata soggetta negli ultimi decenni. In particolare,
il regime pluviometrico, in cui si è registrata una riduzione
media delle precipitazioni e, nel contempo, una variazione nella
loro distribuzione temporale (con maggior occorrenza di fenomeni
intensi e di breve durata), se da un lato potrebbe aver
indotto in alcune aree una diminuzione del numero degli eventi
alluvionali di media intensità, d’altro canto ha causato un
aumento degli eventi estremi e dei fenomeni di dissesto dei
versanti. I meccanismi fisici che regolano l’innesco e l’evoluzione
di “eventi idrogeologici” critici sono estremamentecomplessi e altamente non lineari. La corrispondenza tra eventi
pluviometrici e movimenti franosi o fenomeni di piena è influenzata,
infatti, da numerosi fattori i quali possono determinare
differenti effetti da luogo a luogo, anche in situazioni apparentemente
simili.

Tra le cause del dissesto geologico-idraulico, come accennato
precedentemente, quelle di origine antropica vanno assumendo
un peso sempre più rilevante, in quanto legate a un uso del
territorio non attento alle caratteristiche e agli equilibri
geomorfologici e idraulici dei suoli italiani. Di fatto, a par tire
dagli anni ’50 le esigenze di sviluppo socio-economico hanno
contribuito a generare un degrado costante e inesorabile del
nostro territorio. Lo spopolamento delle montagne e il conseguente
abbandono sono tra i primi fattori di “degradazione” dei
versanti; infatti, i numerosi incendi uniti all’eccessiva urbanizzazione
e cementificazione delle zone vallive, hanno determinato
un forte aumento della quantità di acqua di ruscellamento
e una notevole diminuzione del tempo di corrivazione. Questo
comporta una minore infiltrazione delle acque meteoriche con
conseguente maggiore incisione delle aste fluviali ed erosione
dei versanti. Anche, e soprattutto per questo, le ondate di piena
cui sempre più spesso si assiste risultano improvvise e interessano
aree molto estese.

In particolare, l’instabilità dei versanti è dovuta all’interazione
di più cause concomitanti: naturali (precipitazioni, terremoti) e
antropiche. Le precipitazioni brevi e intense e quelle eccezionali/
prolungate sono i fattori più importanti per l’innesco dei
fenomeni di instabilità dei versanti, rispettivamente per fenomeni
rapidi e superficiali e per frane con una maggiore profondità
della super ficie di scivolamento o che coinvolgono litotipi
prevalentemente argillosi. I fattori antropici assumono un ruolo
sempre più determinante tra le cause predisponenti, con azioni
sia dirette, quali tagli stradali, scavi, sovraccarichi, sia indirette
quali la mancata manutenzione di opere di difesa. I tagli stradali
realizzati negli ultimi decenni al fine di rendere più agevole
l’accesso alle aree boschive adibite alla selvicoltura hanno
determinato, spesso, condizioni di instabilità dei versanti.

Nelle zone collinari e pianeggianti lo sviluppo di pratiche colturali
(spesso monocolture) intensive, con spianatura del terreno e rimozione
di alberi, siepi e canalizzazioni, è alla base dell’erosione e
del rapido deflusso delle acque, e provoca un incremento del
trasporto solido dei corsi d’acqua, che diventano incapaci di contenere
il flusso entro gli argini anche in caso di eventi meteorici
non eccezionali. In aree di pianura alluvionale, inoltre, per ottenere
sempre maggiori superfici, l’uomo ha rettificato il corso dei
fiumi, andando a tagliare i meandri naturali dei corsi d’acqua e
privando le aree golenali della vegetazione (il cosiddetto bosco
planiziale, la cui funzione è quella di rallentare le acque di piena).
La rettificazione dei meandri ha causato un raccorciamento delle
aste fluviali e un conseguente aumento della velocità e della forza
distruttiva delle acque.
Fonte: ISPRA
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Le minacce alla biodiversità, il rischio sismico e franoso, l’aumento della temperatura media
Cresce il patrimonio forestale

Lo stato dell’ambiente secondo l’Annuario ISPRA 2009

La perdita della biodiversità procede a ritmi senza precedenti. In aumento il numero di specie a
rischio estinzione nel nostro Paese, ritenuto il custode del maggior numero, in Europa, di specie
animali. Pressoché dimezzate, in 25 anni, 33 varietà di uccelli tipiche degli ambienti agricoli.
Tra queste, l’Allodola, il Balestruccio, la Rondine.
Il 23% degli uccelli e il 15% dei mammiferi, infatti, rischiano di scomparire per sempre: la
percentuale di specie minacciate di vertebrati oscilla in media, a seconda dei diversi autori, tra il
47,5% e il 68,4%. In cima all’infausta classifica, i pesci d’acqua dolce, i rettili e gli anfibi. Questi
ultimi presentano in assoluto la situazione più critica, con un 66% di specie fortemente a rischio
estinzione.
Le minacce alla biodiversità non risparmiano neanche le specie vegetali: il 15% delle piante
superiori e il 40% delle piante inferiori sono in pericolo. Tuttavia, le conoscenze in merito alle
entità vegetali sono ancora incomplete, ma si stima che a rischio siano 772 specie di epatiche,
muschi e licheni e 1.020 piante vascolari.
Dati, questi, su cui riflettere con urgenza, come dimostrato dalla volontà delle Nazioni Unite di
proclamare proprio per il 2010 l’Anno Internazionale della Biodiversità. Una scelta nata anche dalla
consapevolezza delle responsabilità umane: la minaccia primaria è, infatti, rappresentata proprio
dalle attività dell’uomo e dalla crescente richiesta di risorse naturali e di servizi ecosistemici. La
trasformazione degli habitat, inoltre, minaccia il 50,5% delle specie animali vertebrate ma tra le
cause di questo depauperamento ci sono anche il bracconaggio e la pesca illegale.
E, inoltre, le attività agricole, responsabili dell’inquinamento delle acque, della perdita di stabilità
dei suoli, dell’aumento dell’effetto serra. Complice anche un uso a volte irrazionale di fertilizzanti e
prodotti fitosanitari.

Se n’è discusso oggi nel corso della presentazione dell’Annuario dei Dati Ambientali ISPRA
2009: la pubblicazione, opera dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale in
sinergia con il Sistema agenziale, offre anche quest’anno una panoramica ampia e completa dello
stato di salute dell’ambiente del nostro Paese, fornendo dati e riflessioni su cambiamenti climatici,
biodiversità e aree naturali, agricole e forestali, dissesto idrogeologico, qualità dell’aria e delle
acque interne, agenti fisici, ambiente e salute, rischio ambientale.

“L’Annuario si conferma basilare supporto per gli organismi preposti ad analisi e valutazioni
ambientali – ha commentato il Commissario dell’ISPRA, Prefetto Vincenzo Grimaldi – e
rappresenta il documento di riferimento delle statistiche ambientali nazionali. Uno strumento,
pertanto, utile sia al decisore politico, per operare scelte più efficienti, che al cittadino comune”.
“Le stime più recenti dell’ISPRA”, ha affermato Stefano Laporta, Sub Commissario ISPRA,
“evidenziano un incremento della temperatura media in Italia, dal 1981 al 2008, pari a circa 1°C. Le
conseguenze di questa variazione, se pur apparentemente non significativa, ricalcano in Italia un
trend globale”.

Sempre più accentuati, infatti, il fenomeno dell’erosione costiera, la desertificazione, la fusione dei
ghiacciai, la riduzione della quantità e qualità delle risorse idriche, i rischi per la salute umana, il
dissesto idrogeologico. L’innalzamento del mare, se pur modesto, e l’acuirsi di fenomeni come le
mareggiate, aggrediscono gli ambienti marino costieri. In particolare, alcune aree di piana costiera
depresse (circa 1.400 km di sviluppo lineare) potrebbero essere inondate mentre le coste basse e
sabbiose (circa 4.000 km) potrebbero essere soggette a forte erosione, con infiltrazioni di acqua
salata nelle falde di acqua dolce.

Per contro, un dato positivo: segnalato un fenomeno espansivo del patrimonio forestale
nazionale, stimato in circa 5.500 ettari all’anno. In crescita anche le ZPS, le Zone di Protezione
Speciale (oggi 597, pari al 14,5% del territorio nazionale) e i Siti di Importanza Comunitaria (SIC),
pari a 2.228 e corrispondenti al 15% della superficie italiana.

Oltre agli ambienti naturali e seminaturali propriamente detti, in Italia si registra un trend positivo
anche per quanto riguarda il verde urbano, con riferimento ai comuni capoluoghi di
provincia. La densità media di verde urbano, infatti, è passata dal 7,8% del 2000 all’8,3% del
2008 mentre la disponibilità pro capite media è cresciuta, da 88,40 metri quadri per abitante a
93,60.
Infine una finestra sul rischio sismico e geologico - idraulico, che nel periodo 2008 – 2009 si sono
manifestati in modo straordinario. Tre gli eventi che hanno superato la soglia di magnitudo
locale 5: quello della costa calabra ha avuto una profondità ipocentrale molto elevata e non ha
procurato danni; quelli avvenuti nell’area del Frignano, con alcuni danni a chiese e campanili
e, infine, i rilevanti eventi nella zona de L’Aquila. I picchi di intensità, oggi sappiamo, sono stati
causati da una particolare vulnerabilità sismica associata alla presenza di sedimenti alluvionali
recenti non consolidati.

E sono le caratteristiche geomorfologiche del territorio italiano a determinare, inoltre, una
forte esposizione al rischio frane, come testimoniato dai censimenti dell’ISPRA che, grazie al
Progetto IFFI, ha individuato più di 485.000 frane, che interessano un’area di oltre 20.700 km2,
pari al 6,9% della penisola. Ben 5.708 i comuni italiani interessati da frane, pari al 70,5% del
totale.

Roma, 15 aprile 2010

UFFICIO STAMPA ISPRA
Cristina Pacciani

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