Vendita AGI, Antoci: “Operazione priva di trasparenza. Si applichi il Media Freedom Act”

Vendita AGI, Antoci (Capolista M5S Collegio “Isole”): “Operazione priva di trasparenza. Si applichi il Media Freedom Act”. Nota Stampa di Giuseppe Antoci, candidato capolista circoscrizione “Isole” alle elezioni europee col MoVimento Cinque Stelle 4 mag 2024 - "Lascia sgomenti la decisione di ENI, azienda partecipata dello stato, di trattare la cessione dell'agenzia di stampa AGI con il parlamentare leghista Angelucci. Un'operazione "folle", come giustamente definita da Giuseppe Conte. Altrettanto allarmante è il fatto che la vendita si stia realizzando mediante una trattativa privata in assenza di un bando di gara a tutela della trasparenza dell'operazione. Bisogna arginare condotte come queste applicando il "Media Freedom Act", legge europea per la libertà dei media tesa a proteggere i giornalisti e i media dell'UE da ingerenze politiche o economiche e ad evitare la concentrazione dei media sotto il controllo politico (come nel caso di Angeluc

MESSINA, IL PIANO PAESAGGISTICO DELL’AMBITO 9

Messina, 17/06/2010 - L’occasione del seminario sul Piano Paesaggistico, svoltosi l’11 giugno scorso presso la Sala Commissioni del Comune di Messina, alla quale erano presenti consiglieri comunali di diversi schieramenti, l’assessore comunale all’Urbanistica e rappresentanze dei Consigli degli Ordini degli Architetti e degli Ingegneri, dell’ANCE e di Confindustria Messina, mi ha dato l’opportunità di esprimere alcune delle considerazioni che sono raccolte e sistematizzate nel presente Documento, elaborato quale contributo in progress sull’argomento.

L’adozione del Piano Paesaggistico dell’Ambito 9, dovrebbe auspicabilmente sollecitare l’avvio di un ampio confronto sul futuro urbanistico e sullo sviluppo della città di Messina e della sua provincia, e costituire un’utile occasione per un ripensamento complessivo e per una revisione delle modalità che hanno contraddistinto ad oggi, l’uso del territorio e la decrescita esponenziale della sua qualità in termini di sviluppo sostenibile, agevolando, in particolare per quanto riguarda Messina, l’avvio di un nuovo corso, non strettamente dipendente dall’avvio di un nuovo strumento urbanistico generale nell’ambito del quale, comunque, potranno confluire oltre che le fasi della concertazione, anche tutte le considerazioni e le osservazioni derivanti dal dibattito sullo stesso Piano Paesaggistico.

Tuttavia, affinché quest’ultimo possa esplicare le sue potenzialità in un’ottica di sviluppo sostenibile, sarebbe utile che lo stesso riuscisse ad andare oltre una impostazione connotata da una certa rigidità prescrittiva, seppure derivante da una consistente e puntuale verifica di dati fisici, culturali, ambientali, paesaggistici, a favore della concreta definizione di misure utili a fronteggiare i previsti impatti sul territorio, anche in considerazione del carattere di una città come Messina, proiettata verso obiettivi di sviluppo strategici e, si spera, sempre più protesa verso una centralità mediterranea.

In realtà, la redazione del Piano Paesaggistico sembra scontare le difficoltà insite nell’esistenza di una normativa di pianificazione territoriale complessiva, ancora non adeguata alla gestione di realtà complesse e, al contempo, le più o meno apparenti rigidezze di principi di tutela che non riescono ancora a trovare una veste matura e confacente alla gestione dei dinamismi urbani.

La possibilità di rendere praticabili e compatibili i valori espressi dal Piano, con le azioni mirate alla gestione locale del territorio, così come raccolte nella varia strumentazione locale, ossia la possibilità di avvicinare e comporre in un’unica azione pianificatoria, due posizioni forse solo apparentemente inconciliabili di gestione del territorio, potrebbe avvenire, come previsto dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (nel testo regionale coordinato), mediante “misure di coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale e di settore, nonché con i piani, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo economico”, oltre che in fase di recepimento da parte dei piani urbanistici locali, delle direttive e prescrizioni del Piano Paesaggistico.

In realtà, la vera natura del confronto, al di là delle considerazioni tecniche sulle modalità mediante le quali il Piano Paesaggistico traduce in prescrizioni la concezione di tutela ad esso sottesa, che comunque può essere oggetto di verifiche e considerazioni anche relative alla congruenza con lo stato di fatto effettivo dei luoghi, è eminentemente politica e si gioca essenzialmente intorno ad un nodo ancora realmente irrisolto, definibile come “modello di sviluppo” del territorio, e specificamente della città di Messina.

In particolare qui, la vigente strumentazione urbanistica e il corollario di strumenti di varia natura che fanno capo alla tipologia dei programmi complessi, rendono difficoltosa una verifica generale e complessiva, seppure in prospettiva, degli esiti e della coerenza ad un programma di sviluppo chiaro e condiviso, ma soprattutto, alcuni dei detti strumenti, prevedendo deroga al PRG, ne hanno determinato l’esautoramento per la parte sostanziale che demandava l’approfondimento degli studi e delle previsioni per aree significative del territorio, alla redazione di piani particolareggiati.
Detti piani avrebbero dovuto e potrebbero ancora consentire, di superare magari proprio le “incongruenze” di cui si discute oggi, tra il Piano Paesaggistico e la strumentazione urbanistica locale e, nel contempo, forse, le preoccupazioni dei molti che temono un ulteriore saccheggio della città.

E dunque, se è pur necessario verificare la congruenza del PTP alle sue fonti normative, appare singolare il fatto che la verifica di congruenza dello stesso rispetto alla strumentazione urbanistica alla quale è sovraordinato e a cui si è fatto cenno, possa essere posta misurando la sua legittimazione e la sua valenza sulla capacità di essere, o di diventare, “congruente” alla pianificazione esistente, ai programmi approvati, sostenibili o meno che siano, ribaltando cioè i termini della questione.

Quindi, si converrà sul fatto che, i termini reali del confronto attengono ad una verifica della congruenza del Piano paesaggistico ad un modello di sviluppo sostenibile del territorio, e alla definizione di quel modello, quale che sia, e ciò ancor prima e più utilmente di una verifica di congruenza del PTP con le sue fonti normative o con le prescrizioni urbanistiche vigenti localmente e con i programmi d’uso del territorio in itinere.
Occorrerà cioè chiedersi quale pianificazione della città potrebbe essere congruente sia ad un progetto di sviluppo che alla reale tutela del territorio.

Al Titolo IV, il PTP prevede che, qualora trattasi di “progetti che comportino notevoli trasformazioni e modificazioni profonde dei caratteri paesaggistici del territorio e che non siano soggetti a valutazione di impatto ambientale (VIA) …, gli stessi debbono essere accompagnati, ai fini del presente Piano, da uno studio di compatibilità paesaggistico-ambientale”.
Prevede inoltre che “non sono da considerare interventi di rilevante trasformazione del territorio le opere o i lavori che, pur rientrando nelle categorie indicate, risultano di modesta entità e tali da non modificare i caratteri costitutivi del contesto paesaggistico-ambientale o della singola risorsa”, ma non definisce i criteri in base ai quali un intervento possa definirsi “di modesta entità e tale da non modificare i caratteri costitutivi del contesto paesaggistico-ambientale e della singola risorsa” e, inoltre, non sarebbe improbabile il verificarsi del paradosso che tanti interventi supposti “di modesta entità e tali da non modificare i caratteri costitutivi” come detto sopra, possano cumulativamente comportare “una rilevante trasformazione del territorio e modificare i caratteri costitutivi del contesto, etc. etc.”, se non ricompresi in una adeguata strumentazione urbanistica locale che sappia tradurre quei principi e quelle direttive in azioni mirate e coerenti.

Il dibattito sul Piano Paesaggistico non può quindi che essere ricondotto, in primis, nell’alveo di un ripensamento generale della pianificazione urbanistica della città di Messina, nell’ambito della quale possano disegnarsi e trovare legittimazione, vecchie o nuove ipotesi e strumenti di pianificazione della città e dei territori ad essa contermini ed assimilati e nell’ambito della quale, possa avvenire un recepimento non passivo ma propositivo che superi l’apparente difficoltà interpretativa e applicativa delle prescrizioni contenute nel PTP, consentendo non già di mortificare il territorio o devastarlo ulteriormente, ma di esaltarne le vocazioni naturali e paesaggistiche ai fini dello sviluppo.
Ciò anche se, in qualche caso, si dovesse procedere ad una eventuale riformulazione di processi avviati, e maggiormente laddove si sia proceduto in variante o in deroga al piano regolatore vigente, o ancora laddove, nonostante la deroga, non vi sia stato alcun momento di verifica ambientale, quali certificazioni ISO o similari, attestanti la sostenibilità degli interventi in rapporto alle qualità del territorio. I Consigli Comunali piuttosto che tentare una improbabile verifica circa la congruità del PTP alle scelte urbanistiche vigenti e ai programmi di espansione approvati e in itinere, anche alla luce degli eventi catastrofici verificatisi e, in generale, della manifesta fragilità del territorio, dovrebbero sollecitare una ampia riflessione sulla sussistenza o meno, di un interesse collettivo, in termini di sviluppo sostenibile, sia degli strumenti urbanistici vigenti che degli interventi approvati in deroga a questi ultimi, sollecitando l’individuazione di eventuali misure mitigative degli impatti sull’ambiente e sul territorio, o la loro modifica e adeguamento.

Considerazioni a parte possono farsi nei casi in cui i processi di pianificazione siano imperniati su concorsi di progettazione laddove questi ultimi siano stati finalizzati ad obiettivi di sostenibilità ambientale o di recupero ecosostenibile, o su pianificazioni innovative da assoggettare a VAS, così consentendo di superare il concetto di tutela del singolo elemento paesaggistico a favore di una visione sistemica e complessiva dei luoghi.

Tali verifiche sarebbero pure opportune alla luce della sussistenza di aree SIC e della ZPS.

L’ipotesi avanzata dall’Amministrazione Comunale di Messina, di sottoporre a procedura di VAS il PTP, strumento che per sua natura discende, o dovrebbe discendere, dalla lettura di effettività sistemiche territoriali, non soggette né assoggettabili dunque all’interpretabilità in termini di valutazioni strategiche, né dunque ad una concertazione preventiva o endogena al suo processo di redazione, non mi sembra utilmente praticabile, mentre ritengo che vada colta l’opportunità di confronto posta dal Codice del Paesaggio, citato, allorquando preveda, come già detto, la possibilità di “misure di coordinamento (del Piano Paesaggistico) con gli strumenti di pianificazione territoriale e di settore, nonché con i piani, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo economico”. Ciò può tradursi nella possibilità, in sede di pianificazione locale, di individuare gli elementi strategicamente rilevanti per lo sviluppo del territorio e sollecitare tutte quelle azioni finalizzate alla tutela che possano garantirne i minori impatti sul territorio e un ruolo chiave in assetti più vasti e realmente mirati allo sviluppo.

Ciò, atteso che, il PTP, per sua natura ragiona per sistemi naturali, territoriali, per unità di paesaggio e dunque utilizza una scala di rappresentazione e un linguaggio diversi da quelli di uno strumento di pianificazione locale (né è suo, il compito di delineare ipotesi di sviluppo ma, piuttosto, quello di individuare in funzione dei caratteri del territorio e dei processi di sviluppo in corso, le azioni finalizzate alla tutela), consentirebbe evidentemente, anche il superamento della questione della supposta ingerenza delle direttive del PTP rispetto alle previsioni urbanistiche locali e della apparente inconciliabilità tra le disposizioni prescrittive a scala molto elevata, rispetto alla effettiva praticabilità dell’apposizione di vincoli in sede di gestione del territorio e di pianificazione locale, sia essa generale che attuativa, e consentirebbe inoltre, l’individuazione di misure di mitigazione e abbattimento degli impatti, trasformando ciò che potrebbe comportare un vincolo, in modalità operative non impattanti.

E’ vero che la Convenzione Europea sul Paesaggio ha inteso delineare una concezione più coerente e matura del “paesaggio”. Ed è pur importante che da ciò derivi una attenzione a tutto il paesaggio nel suo complesso, cioè che si avviino i processi di gestione del territorio verso una sensibilità nuova alle problematiche ambientali e paesaggistiche.
Ciò deve tradursi in una rinnovata attenzione, in sede di pianificazione urbanistica, alla conservazione dei caratteri e delle peculiarità locali intese nella loro diversificata interazione di architettura e natura più che alla elaborazione di ulteriori strumenti basati su una logica di tutela a “macchia di leopardo”, con i quali si tutelerebbe ciò che è comunque già tutelato per legge.

Pertanto, piuttosto che individuare nuovi strumenti vincolistici quali analisi settoriali o mirate alla perimetrazione di aree o di alcune preesistenze piuttosto che di altre, potrebbe essere opportuno lavorare alla redazione di strumenti di dettaglio quali, ad esempio, piani particolareggiati di recupero e riqualificazione paesaggistica ed ambientale nell’ambito dei quali prevedere e definire, nell’ambito di un adeguato processo di concertazione, tutte le possibili azioni mirate alla conservazione dei caratteri inalienabili del paesaggio e a porre un freno ad ulteriori edificazioni, riqualificando e recuperando aree altrimenti abbandonate al degrado.
Ciò appare tanto più necessario in quelle aree già colpite da eventi catastrofici e in tutte quelle particolarmente a rischio e, in generale, in tutte quelle previste dallo strumento vigente o comunque caratterizzate da fragilità ambientale e paesaggistica: fasce costiere, fasce fluviali, etc.., con le dovute distinzioni.

Occorre, in generale, un freno al consumo di territorio, privilegiando il recupero dell’esistente.
E’ del resto inutile ignorare che, esigenze di tutela dal rischio idrogeologico impongono l’assunzione di limiti all’espansione e a nuovo consumo di territorio, l’individuazione di misure di mitigazione e recupero dei paesaggi urbani, a prescindere dal grado di urbanizzazione.

Ciò non può che essere imperativo categorico in particolare in tutte le aree urbane interessate da equilibri precari, instabili, derivanti dal depauperamento del suolo o da alterazione delle condizioni fisiche originarie: cave dismesse, ex discariche, are interessate da fenomeni di dissesto più o meno marcato. A suo tempo mi ero espressa in merito al progetto di utilizzo dell’area delle ex Cave di sabbia sulla Panoramica di Messina, questione peraltro connessa alla mancanza di una strumentazione settoriale che possa normare e regolare la distribuzione di strutture siano esse commerciali o di altra natura, nel territorio comunale, secondo finalità di interesse collettivo. Questione che si è posta anche in occasione della discussione sul progetto della STU per il Tirone, altra questione emblematica del conflitto tra idee opposte di sviluppo sostenibile, sulla quale questo Istituto ha speso ingente impegno, producendo appositi documenti ai quali si fa rimando.

L’area metropolitana dello Stretto
La possibilità di individuare punti di incontro tra il PTP e gli strumenti locali di pianificazione dipende essenzialmente da una appropriata analisi e individuazione, da parte di quest’ultimo, degli ambiti territoriali effettivi e congruenti sia con i caratteri fisici dei luoghi sia derivanti da processi strategici in costruzione, essi stessi costruiti su una lettura strategica delle aree che sono oggetto del PTP stesso.
Occorre cioè che la individuazione di vincoli e la precedente considerazione analitica dei luoghi in base alla quale vengono costruite le modalità indicative e prescrittive, affinché possa dimostrarsi efficace, consideri i luoghi nel loro dinamico evolvere, in dipendenza di una comprensione non discendente soltanto dall’effettività fisica territoriale o da confini amministrativi, ma anche dalla costruzione programmatica di aree relazionalmente già fortemente indirizzate, in funzione di uno sviluppo esteso a territori ampi, di area vasta.

Per questo, considerando i processi di interazione in atto per la costruzione effettiva di una realtà metropolitana dello Stretto, la redazione del Piano Paesaggistico non può non riferirsi a detta realtà ecosistemica e definire la propria identità in funzione della continuità territoriale e geografica tra le due sponde, ossia di quel sistema caratterizzato da fattori geologici, orografici, idrografici, paesaggistici, faunistici, floristici tali, da definire e descrivere una particolare ed unica realtà ambientale individuabile ed individuata come “ecosistema dello Stretto”.
La considerazione del dato fisico e di quello geografico devono dunque consentire, nell’ambito di uno strumento come quello in esame, di superare il dato amministrativo per tradursi in strategie di sviluppo integrato e sostenibile, fondato sulle interazioni, sulle assonanze fisiche e territoriali, sulle questioni generali di recupero e riqualificazione ambientale, prefigurando nuovi scenari strategici secondo un “progetto urbano sostenibile” costruito su regole comuni di tutela e di sviluppo.

Una lettura siffatta, consentirà di leggere i sistemi paesaggistici nella loro effettiva entità, favorendo il delinearsi di percorsi unici di pianificazione e, dunque, un più appropriato sistema di tutela, la definizione di percorsi naturalistici comuni, di un “parco naturalistico dello stretto”, di comuni itinerari culturali e paesaggistici, di circuiti di paesaggi culturali e di peculiari sistemi insediativi tradizionali, e favorirà certamente i processi su entrambe le sponde, mirati allo sviluppo di sistemi di mobilità sostenibile, di produzione di energia, di modalità dell’architettura finalmente compatibili con i luoghi, con ciò andando in direzione di una maggiore attrattività di risorse finanziarie.

Dunque, sebbene il Piano non possa che essere amministrativamente cogente nei confronti del territorio siciliano interessato e non già di quello calabrese, occorre a nostro parere un ampliamento dei limiti di analisi e delle prospettive strategiche delineate negli artt. 1, 2 e 3, al fine di una lettura scientificamente corretta e, al contempo finalizzata, dei dati paesaggistici e territoriali in genere, e una cogenza normativa che trova la sua ragion d’essere e legittimazione, nella effettività dei fatti fisici e culturali analizzati.

In particolare, all’art. 2, laddove il Piano delinea le principali linee di strategia, si suggerisce che il riferimento alla rete ecologica regionale venga esteso alla rete ecologica nazionale, con riferimento specifico all’Area dello Stretto; si suggerisce altresì che, in particolare, al comma 4 dell’art. 2, si integrino gli scopi del Piano come segue: la “riorganizzazione urbanistica e territoriale, ai fini della valorizzazione paesaggistico-ambientale, con politiche coordinate sia all’interno dell’Ambito 9 che in rapporto ad un sistema integrato dell’Area dello Stretto e in previsione della istituzione dell’Area metropolitana dello Stretto, sui trasporti, i servizi etc.”.
E, inoltre, al penultimo capoverso dell’art. 2, laddove si prescrive che “Coerentemente alle suddette strategie generali, riportate nella tav. 28 (Scenario strategico), il Piano individua azioni strategiche che vanno attuate in copianificazione con i diversi Enti territoriali e soggetti pubblici e/o privati interessati che vengono chiamati alla concertazione etc…” e che “Sulla base di tali strategie si possono predisporre intese e programmi di azione e si possono avviare progetti strategici e programmi complessi”, si propone di aggiungere “che riconducano ad obiettivi di sviluppo dell’Area dello Stretto nel suo complesso e secondo una lettura ecosistemica dei processi ambientali nell’ottica di un coordinamento tra i piani territoriali e di settore, anche di livello interregionale”.

La proposta della creazione di un “circuito di paesaggi culturali e villaggi ecologici” avanzata nell’ambito delle attività dell’Istituto Mediterraneo di Bioarchitettura Biopaesaggio Ecodesign sottendeva il riferimento a questa realtà sistemica “cucita” su valori identitari comuni e su fragilità comuni alle due entità amministrative regionali che si affacciano sull’Area dello Stretto, come hanno rivelato i recenti fenomeni di dissesto idrogeologico che, seppure in differenti forme, hanno interessato anche la Calabria, oltre che la provincia di Messina e la città stessa.

Solo in un’ottica siffatta, anche uno strumento come il Piano Paesaggistico potrà consentire il superamento di una visione settoriale della tutela, legando le progettualità e i processi di pianificazione ad un interesse sovracomunale e di “Area Vasta” dalla quale ritengo non si possa più prescindere in sede di pianificazione.

Il ponte
Il Titolo IV “Interventi di rilevante trasformazione del paesaggio” del PTP, prescrive che “i progetti che comportano notevoli trasformazioni e modificazioni profonde dei caratteri paesaggistici del territorio e che non siano soggetti a valutazione di impatto ambientale (VIA) …, debbono essere accompagnati, ai fini del presente Piano, da uno studio di compatibilità paesaggistico-ambientale”.
Detta prescrizione non sarebbe dunque prevista per l’opera “ponte” soggetta a VIA, ma la previsione dell’opera non viene neppure presa in considerazione in sede di Piano, nonostante discenda dalla “Legge Obiettivo” e nonostante l’approvazione dell’opera in sede CIPE.
In considerazione degli impatti inducibili dall’opera, al di là dei giudizi di merito circa l’opera stessa, la mancata presa d’atto in sede di PTP, del progetto del ponte e delle opere connesse, che si andrebbero peraltro a sommare agli altri prevedibili impatti afferenti ad altre previsioni, non sembra opportuno né coerente con gli obiettivi del PTP.
Tale lacuna inficia, a mio parere, la validità stessa dello strumento di piano se si consideri che, la realizzazione del ponte farebbe saltare equilibri naturali oltre che urbanistici, determinando un impatto tanto imponente sia sugli elementi ambientali e territoriali che sulla percezione visiva e paesaggistica delle aree direttamente o indirettamente interessate, da mettere in ombra tutti i possibili impatti derivanti da altre opere.
Di fatto, verrebbe vanificata qualsiasi valutazione finalizzata alla tutela dei caratteri paesaggistici dell’Area dello Stretto.
Così anche le opere connesse al ponte, da realizzarsi nel territorio della città di Messina, avrebbero diretta influenza sul paesaggio e, in generale, sull’assetto urbano, dal centro alle periferie, e dunque, il fatto che le stesse siano state ignorate in sede di PTP, impedisce di fatto la previsione o la prescrizione di misure specifiche finalizzate alla riduzione degli impatti e alla tutela del territorio, in considerazione dei precipui caratteri paesaggistici.

Si ritiene infine che, ai fini della tutela del paesaggio, il PTP debba essere la sede per una verifica e per l’esame di direttive o prescrizioni relative non tanto e non solo all’impatto indotto da singole attività quanto della possibile modifica dei caratteri del paesaggio derivante dalla sommatoria e ancor più dalla prevedibile interferenza tra tutti gli impatti previsti.
Quanto sopra, consente di tornare alle considerazioni espresse preliminarmente, e cioè alla necessità e all’auspicio che il PTP sia recepito in strumenti di pianificazione territoriale che possano interpretare le esigenze di tutela e ad esse informare le previsioni o l’attuazione delle varie forme di gestione del territorio, secondo obiettivi dinamici e complessi, di sviluppo sostenibile.


Il porto di Messina e la tutela della fascia costiera
L’art. 13 “Sistema costiero”, assimila nella lettura dei sistemi territoriali delle “aree costiere” anche aree industriali consolidate come il porto di Messina, il “porto storico” come anche definito dal relativo PRG.
Inoltre, negli “Obiettivi” espressi all’art. 44, relativamente al “Paesaggio Locale 1 – Stretto di Messina”, il PTP prevede che: “Indirizzi, direttive e prescrizioni sono orientati ad assicurare la conservazione ed il recupero dei valori paesistici, ambientali, morfologici e percettivi della costa e del versante nord-orientale della catena peloritana; ad assicurare la fruizione visiva degli scenari e dei panorami; a promuovere azioni per il riequilibrio naturalistico ed ecosistemico; alla riqualificazione ambientale-paesaggistica dell’insediamento costiero; a recuperare e valorizzare il patrimonio naturale e storico-culturale (Centro storico, villaggi, percorsi panoramici, aree boschive); alla mitigazione dei fattori di degrado ambientale e paesaggistico”.
Al paragrafo 1B dell’art. 44 – “Centro Storico di Messina e aree d’espansione”, le Direttive impartite dal PTP, tra l’altro, prevedono il “recupero della penisola di San Raineri mediante la demolizione dei detrattori ambientali, il trasferimento graduale delle attività produttive non connesse alla fruizione del mare, il restauro filologico delle emergenze architettoniche, la definizione di una fascia di rispetto delle testimonianze superstiti della Real Cittadella. La destinazione d’uso della penisola consentirà la fruizione pubblica attrezzata e le opere a diretta fruizione del mare, la cantieristica navale connessa anche alla nautica da diporto. Va in ogni caso preservato lo sky-line esistente;...”.
Precedono e seguono varie altre Direttive finalizzate ad una eterogenea congerie di situazioni urbane che seppure consentono di delineare un quadro generale di aspetti paesaggisticamente determinanti ai fini della tutela (la conservazione e valorizzazione del tessuto storico, il mantenimento e la tutela delle fasce alberate, la valorizzazione e il potenziamento delle ville etc., il recupero e la riqualificazione delle periferie, delle zone di espansione, etc. etc.), pur nella considerazione che la tutela del territorio deve essere diffusa perché tutto è paesaggio, conducono ad una lettura “appiattita” della realtà urbana, nell’ambito della quale non si riesce a cogliere alcuna gerarchia o differenziazione in funzione di un disegno urbano strategico, nell’ambito del quale fondare uno sviluppo realmente sostenibile.

Il porto di Messina presenta specificità e caratteri territoriali tali, da definire esso stesso un paesaggio locale, un ecosistema fragile, la cui dinamicità ha origine in dipendenza della sua collocazione in area costiera ma anche dalla natura delle attività che in esso si svolgono.
Esso rappresenta una realtà ecosistemica complessa, a sé stante, e allo stesso tempo integrata e integrabile nel complessivo ecosistema urbano, un paesaggio culturale consolidato, da tutelare nella sua effettività di ambito urbano con caratteri specifici, che trova espressione sia nello skyline delle attività industriali legate alla cantieristica che nelle preesistenze architettoniche, nei caratteri ambientali e paesaggistici definiti da un legame tra terra e mare, ed attività umane.
Potrebbe risultare dunque semplificativa e fuorviante, e quindi a rischio di inefficacia ai fini della tutela effettiva, e quindi degli obiettivi del Piano Paesaggistico, ogni lettura che esuli da tali considerazioni.

Prima di procedere sul tema, mi occorre fare qualche breve considerazione preliminare.
In realtà io ritengo che il Piano regolatore del Porto, in una città come Messina, sia di fatto, e comunque non potrebbe che essere, nell’ottica di una strategia di sviluppo della città e del territorio della provincia, il vero strumento di programmazione e pianificazione urbanistica e dello sviluppo sostenibile della città, di una città che voglia puntare su attività quali la cantieristica innovativa, le infrastrutture per la cantieristica e per attività connesse, che non sono in conflitto ma anzi garantiscono la tutela territoriale e costituiscono una risorsa fondamentale in direzione di una sostenibilità dello sviluppo e in alternativa ad altri settori economici tradizionali.

Tuttavia, ancora oggi, non sembra delinearsi chiaramente una strategia di sviluppo per la città contemporanea, strategia che, peraltro, non può che trovare la sua ragion d’essere nella stretta interconnessione anche funzionale, tra la città più propriamente intesa e un porto in attività.
L’esistenza di attività portuali, ancorché “pesanti”, a meno di soluzioni alternative valide scientificamente e tecnicamente note (spostamento di alcune attività a Tremestieri), deve essere comunque valutata nell’ambito di un piano economico delle attività portuali, anche alla luce delle ricadute occupazionali, naturalmente nel rispetto delle normative ambientali vigenti, e dei risvolti in termini di mantenimento di attività tradizionalmente vive nella realtà portuale messinese come alcune tipologie di cantieristica, ancor prima che nel PTP.

E vorrei ancora osservare come le funzioni di un porto attivo non sono necessariamente conflittuali con altre attività più propriamente urbane, né con la tutela di beni architettonici, archeologici o paesaggistici, come del resto insegnano alcune note realtà europee e che pertanto la questione si risolve nella capacità di saper pensare e progettare ai “margini” tra realtà territoriali aventi funzioni diverse ma complementari, nelle cosiddette “aree di transizione” o di interrelazione. In questa capacità si misura la possibilità di mantenere l’identità di una realtà urbana e la sua specificità ed unicità nel panorama europeo e mondiale.

Occorre progettare luoghi e funzioni laddove aree strettamente portuali incontrano istanze e spazi in cui è difficile stabilire una netta separazione tra l’urbano e il portuale, consentendo alla città di non rinunciare al suo ruolo strategico di porto ma coniugando ad esso ulteriori ipotesi di rilancio e sviluppo in termini di tutela “attiva” del territorio.

Un Piano Regolatore del Porto in una città come Messina, diverrebbe allora anche “il” Piano Regolatore della città, cioè un piano di sviluppo, motore propulsivo dell’economia urbana e non più solo uno strumento tecnico-organizzativo, in bilico tra il ridisegno di aree e in un dialogo incerto con una città che, nel frattempo, non lo segue né è in grado di pianificare sé stessa e il proprio sviluppo.
In quest’ottica, anche il polo fieristico, anch’esso inserito in un circuito di programmazione estesa a livello regionale, potrà contribuire a delineare l’identità complessiva del porto, inteso come parte integrante dello sviluppo della città e nello stesso tempo contribuire ad un processo di qualificazione dei paesaggi costieri e di presidio territoriale attivo.
La peculiarità del porto si riconnette inoltre alla connessa questione relativa alla riqualificazione di tutte le aree inerenti la fascia costiera, prossime o meno all’area occupata dalla stazione ferroviaria centrale, costituenti il “porto storico”.
Il VI Rapporto ISPRA – Edizione 2009, sulla “Qualità dell’ambiente urbano” (l’ultimo, pubblicato a marzo) riferisce che: “Ogni infrastruttura portuale ed il complesso delle attività, indotte e collegate che in essa si svolgono, producono un impatto sul territorio circostante. La dimensione dell’impatto è variabile in relazione a molteplici fattori: la dimensione del porto, le sue caratteristiche funzionali (porto passeggeri, peschereccio, per contenitori, industriale o petrolifero o multifunzionale, etc.) ed i volumi dei diversi traffici. Altrettanto rilevante è la collocazione del singolo scalo marittimo rispetto al territorio circostante, ovvero se esso si colloca in prossimità di aree urbanizzate o di aree aventi valenza naturale o ambientale.
Storicamente, le città situate sulle coste del nostro Paese, …, sono nate e si sono sviluppate attorno ad aree portuali che hanno sempre rappresentato una risorsa strategica irrinunciabile per lo sviluppo economico e sociale. Infatti, i porti attraendo investimenti e risorse sono capaci di produrre ricchezza e favorire crescita occupazionale.
D’altra parte – continua il Rapporto – la forte interazione fra area urbana e area portuale, la condivisione di spazi e di infrastrutture, può portare a criticità più o meno accentuate. Ad esempio, il flusso di traffico portuale spesso va ad aggiungersi alla viabilità ordinaria urbana, già pesantemente congestionata, a causa della mancanza di collegamenti fra le aree portuali e la rete autostradale e soprattutto ferroviaria. La separazione fra il traffico urbano e quello portuale è un fattore indispensabile per evitare intasamenti e quindi inefficienze”.
Tuttavia, il Rapporto riferisce ancora “Un approccio semplicistico potrebbe indurre a concludere che maggiori sono i traffici di un porto, maggiori sono i fattori di pressione per lo stato dell’ambiente quali, ad esempio, le emissioni in atmosfera, l’inquinamento acustico, la produzione di rifiuti, ecc.. Più ragionevolmente, solo un’analisi dettagliata …, che tenga conto di altri fattori significativi (geografia del porto, livello dei servizi e delle attrezzature, caratteristiche tecniche delle navi, etc.) può costituire un utile strumento per avvicinarsi ad un quadro descrittivo delle attività portuali e delle problematiche ad esse connesse.”.
Ed ancora “Il concetto di sviluppo sostenibile si sta progressivamente diffondendo come una strategia da perseguire per arrivare ad elevati livelli di competitività piuttosto che un costo aggiuntivo da sostenere. Le problematiche ambientali sono sempre più oggetto di attenzione del decisore politico, pertanto la mancanza di una environmental strategy produce inevitabilmente costi e spese che potrebbero essere evitati e gestiti piuttosto che subiti passivamente.
La consapevolezza dell’importanza di disporre di un Sistema di Gestione Ambientale (SGA), capace di individuare, valutare e monitorare gli aspetti ambientali che sono gestiti direttamente o indirettamente da un’organizzazione, si sta diffondendo anche presso le Autorità Portuali nazionali che stanno promuovendo iniziative al fine di acquisire una certificazione ambientale.
… L’Autorità Portuale di Livorno ha ottenuto, prima in Europa, la registrazione EMAS II a cui ha fatto seguito il Premio per la “Qualità Ambientale Europea” nel 2004 …” che deriva dall’impegno per il miglioramento delle proprie prestazioni ambientali, viste come fulcro irrinunciabile dello sviluppo armonico del sistema integrato porto-territorio che può avvenire anche con il coinvolgimento di operatori del porto, al fine del contenimento dei consumi energetici, dell’incremento della quota di energia proveniente da fonti rinnovabili per gli usi portuali e la riduzione delle emissioni prodotte dalle navi in porto. Le iniziative in questo campo mostrano una diretta connessione con sensibilità ambientali di assoluta attualità, anche al di fuori dello specifico mondo portuale”.
Ed ancora “La consapevolezza dell’importanza di disporre di un SGA, capace di individuare, valutare e monitorare gli aspetti ambientali che sono gestiti direttamente o indirettamente da un’organizzazione, si sta diffondendo anche presso le Autorità Portuali nazionali che stanno promovendo iniziative al fine di acquisire una certificazione ambientale. Vi sono, infatti, già diversi porti (Venezia, Trieste, Genova, Livorno e Napoli) che hanno conseguito o hanno in programma di conseguire certificazioni ambientali quali ISO 14001, EMAS o PERS.
Allo stesso tempo alcuni porti cominciano a sperimentare e programmare alcune iniziative o progetti ambientali quali, ad esempio, il contenimento dei consumi energetici, l’incremento della quota di energia proveniente da fonti rinnovabili per gli usi portuali, la riduzione delle emissioni prodotte dalle navi in porto, ecc.”.

Infine, il considerare quale problema a sé stante, la questione del porto, oltre a consentirmi di cogliere l’occasione per ribadire la mia esplicita e convinta contrarietà a destinazioni seppure parziali delle aree portuali della Zona Falcata ad attività alberghiero-turistiche, che possono trovare più utile collocazione in altre fasce rivierasche, mi consente, tra l’altro, di esaminare in modo adeguato le prescrizioni impartite dal PTP per le fasce costiere, relativamente alle tipologie e ai limiti di altezza.

Riguardo all’art. 13 del PTP, ritengo che, al di là delle questioni poste dagli uffici comunali, l’argomento vada affrontato in termini più generali e anche qui possa essere ricondotto nell’alveo della pianificazione urbanistica locale al fine di trovare una organica trattazione, nonché di piani attuativi di recupero nell’ambito dei quali gli obiettivi di tutela siano prioritari, anche mediante prescrizioni di mitigazione degli eventuali impatti.
In generale, un edificato continuo lungo le coste, come quello che ha caratterizzato gran parte del territorio edificabile di Messina e dei comuni oggetto del PTP interessati da tale questione, ha comportato una alterazione anche percettiva dei paesaggi locali. E, peraltro, non è così improbabile la eventualità che insediamenti costieri debbano assumere tipologie differenti da quelle pluripiano, ed essere pensate per un inserimento meno invasivo nel paesaggio, come già avviene in molti luoghi anche nell’ambito della nostra Regione, ferma restando inoltre, la verifica che uno strumento urbanistico generale potrebbe e dovrebbe compiere circa la congruenza delle ipotesi insediative con l’effettivo interesse collettivo.
Dunque, un’ipotesi, riguardo alle fasce costiere normate dall’art. 13 del Piano, potrebbe essere offerta dalla seguente integrazione:
Entro la fascia di rispetto di trecento metri delle aree costiere
Non sono consentite:
- cave e discariche di rifiuti solidi urbani, di inerti e materiale di qualsiasi genere, di acque reflue se non adeguatamente trattate e depurate;
- ad esclusione delle zone A e B esistenti, nuove edificazioni in sequenza (schiere) e con altezze superiori a due elevazioni fuori terra.
- strutture isolate o in sequenza per la fruizione del mare che per tipologia e/o elevate dimensioni costituiscano detrattori paesistici e non consentano adeguati accessi al litorale. Le realizzazioni dovranno essere subordinate alla redazione di appositi piani di fruizione (Piani Spiaggia) o da appositi Piani Particolareggiati di recupero e riqualificazione ambientale.
Gli interventi già previsti in deroga al PRG, al fine di essere compatibili con gli obiettivi di tutela, dovranno dotarsi di certificazione europea tesa a verificare la loro sostenibilità ambientale e paesaggistica.
Inoltre la seguente integrazione: “Gli strumenti urbanistici e le loro varianti non potranno prevedere zone di espansione, insediamenti o impianti produttivi e/o commerciali entro la fascia di rispetto delle aree costiere. E’ ammessa l’espansione delle attività portuali tradizionali, segnatamente attività cantieristica e attività strettamente connesse purché preventivamente oggetto di redazione di uno Studio per il bilancio ambientale del porto (al fine di avere una rappresentazione quantitativa degli impatti ambientali delle attività del porto e valutarne il trend nel tempo), che tenga conto di tutti gli elementi di criticità ambientale e preveda le opportune misure mitigative e a condizione che il Piano Regolatore del Porto si doti di un sistema di qualità ambientale ISO 14001 e/o EMAS (Regolamento “Eco Management and Audit Scheme) per tutte le aree di competenza.

Si apporta inoltre una ulteriore integrazione come segue:
Le opere a mare che influenzino la dinamica costiera (porti, approdi, opere di difesa, …), devono essere compatibili con i caratteri strutturali, paesaggistici e ambientali del sito, pertanto, eventuali opere previste dagli strumenti di pianificazione regionale o locale dovranno essere corredate da studi di dettaglio sul paesaggio, e da studi di impatto ambientale sul sistema costiero contermine, per una estensione a valle e a monte dell’opera che verrà determinata con apposito provvedimento amministrativo dell’autorità preposta alla tutela e alla gestione delle coste, comprovanti che la loro realizzazione non altera negativamente il paesaggio e l’ambiente costiero.

Riguardo all’art. 14 del PTP, relativo alla tutela delle fasce fluviali, si condivide appieno l’esigenza di tutela posta dal PTP ma si evidenzia al contempo la necessità di diversificare in dipendenza del grado di artificialità esistente lungo gli argini fluviali, distinguendo tra aree perfettamente integrate nell’urbanizzazione esistente e consolidata e aree ancora libere dall’urbanizzazione nell’ambito delle quali andranno graduate le ipotesi di intervento naturalistico anche in rapporto al complessivo stato delle aste fluviali, onde evitare attività altrettanto artificiali perché prive del necessario supporto territoriale utile alla ricostituzione di ambiti naturalistici autopropulsivi.
Infatti la rinaturalizzazione implicherebbe l’avvio di processi che devono svilupparsi nel tempo e secondo spazi incomprimibili che garantiscano l’autosostentazione e autoalimentazione dei processi indotti e scientificamente certi. La tutela deve tener conto delle eventuali interazioni esistenti tra spazi naturali e spazi artificiali e mirare a processi complessivi di riqualificazione territoriale.


Ancora qualche considerazione generale

In generale, occorrerebbe alzare il grado di naturalità negli ambiti urbani, che possa mitigare gli impatti dovuti all’urbanizzazione. Ciò è tuttavia possibile attuando criteri rigorosi di intervento che devono trovare attuazione in una prassi urbanistica rinnovata e informata al dato paesaggistico e culturale.
Così come si ritiene necessario che sia indicazioni che prescrizioni, siano sempre specificamente argomentate e indirizzate ai singoli contesti, sia allorquando si tratti di rinaturalizzazioni che di recupero e mantenimento dei centri storici o agricoli, per evitare genericità e quindi il rischio di ingenerare ambiguità interpretative, potenzialmente contrarie alla tutela.
Tanto vale anche allorquando si voglia orientare la scelta di specie vegetali, che è operazione specialistica da attuare mediante strumenti a ciò specificamente preposti, nell’ambito dei quali possano ricondursi valutazioni complessive finalizzate ad una tutela effettiva del paesaggio sia esso naturale in degrado, agricolo o artificiale.
E’ necessario tuttavia che, al di là degli obblighi discendenti da una strumentazione sovraordinata, le indicazioni e le prescrizioni del PTP vengano raccolte in sede di pianificazione del territorio sia a Messina che nei comuni della provincia affinché possa avviarsi un percorso di revisione progressiva di procedure che ad oggi hanno prodotto la perdita di buona parte dell’identità culturale dei luoghi, delle tradizioni costruttive e materiche. E’ indubbio che tali valori premino la sostenibilità locale e l’interesse collettivo e pertanto essi vanno considerati in senso strategico e non come ostacoli allo sviluppo.

E’ inutile comunque sottacere che, anche in considerazione della sovrabbondante mole di disposizioni normative che hanno un’influenza più o meno diretta sulla gestione del territorio, ma soprattutto in dipendenza della strumentazione da essa discendente in alcuni casi (Messina offre uno spunto emblematico in tal senso), e del contemporaneo dibattito in sede di approfondimento della disciplina urbanistica in genere, sarebbe auspicabile l’avvio di azioni mirate ad una semplificazione normativa e conseguentemente strumentale, che assegni al “vincolo” un valore propositivo strategico per la pianificazione, sintetizzando le diverse posizioni ora spesso avverse.
Una legge sul governo del territorio, auspicata da tempo, non dovrà essere cosa diversa da una normativa e da strumenti finalizzati alla tutela del paesaggio nel suo complesso.
E’ tempo che il parlamento regionale affronti la questione, come ha tentato di fare, non saprei invero con quale successo, la Regione Calabria. Il Piano Casa varato all’ARS, diviene uno strumento settoriale se ad esso si accosta una normativa finalizzata alla tutela dei centri storici. In realtà, le due cose devono andare di pari passo.
Fin tanto che il legislatore non imprimerà la svolta, non sarà facile e forse possibile, a chi amministra il territorio, trovare localmente soluzioni che mettano insieme istanze ed interessi economici, riuscendo a garantire nel contempo, la sostenibilità.
Ma il ruolo delle istituzioni locali in questa direzione, anche allo stato attuale, è fondamentale.
Esse infatti, potrebbero già assegnare, in sede di pianificazione generale, o di revisione, a ciò che è un valore preesistente una funzione catalizzatrice e promotrice di sviluppo, demandando ad una strumentazione attuativa orientata alla tutela, l’approfondimento delle modalità operative e non consentendo, come regola, deroghe alle regole. Ciò sarebbe tanto più semplice in presenza di strumenti urbanistici che passino da processi di condivisione.
Il presente Documento verrà posto all’attenzione del Coordinamento di associazioni L’altra città affinché possa essere dalle stesse discusso ed eventualmente condiviso, nel prosieguo dei lavori. Si provvederà anche all’inoltro dello stesso alle Istituzioni competenti, tra le quali, in primis, il Consiglio Comunale di Messina.

architetto Caterina Sartori
(Presidente Istituto Mediterraneo di Bioarchitettura Biopaesaggio Ecodesign)

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