Palermo, 30/06/2012 - Gaspare Sturzo, 49 anni, ordinario e pronipote di don Luigi Sturzo, fondatore della Democrazia Cristiana, ha annunciato l'intenzione di candidarsi alla presidenza della Regione Siciliana alle prossime elezioni. "In Sicilia non ci sara' sviluppo se la pubblica amministrazione non sara' al servizio del cittadino e dell'impresa privata per realizzare progetti legittimi. Se manca l'impresa privata, manca il combustibile per lo sviluppo", ha detto il magistrato.
Gaspare Sturzo, in qualità di magistrato ordinario, ha prestato servizio presso le procure di Termini Imerese e di Palermo. Componente della Direzione Antimafia della Procura della Repubblica di Palermo fino al settembre 2001, quando ha assunto l’incarico di consigliere giuridico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, dipartimento affari giuridici e legislativi.
Attualmente è anche docente di diritto penale del lavoro presso la Lumsa di Roma. Inoltre è autore di numerose pubblicazioni, tra le quali “La mafia è nemica dello sviluppo”, “Un combattente per i valori del cristianesimo”, “La battaglia sturziana per moralizzare la politica e l’economia”.
Sulla testata online www.piuvoce.net ha scritto vari articoli e tra questi "LA CULTURA DEL SOSPETTO ARMA LA ZONA GRIGIA", nel quale afferma: "C’è una cappa di dominio che cerca di non consentirlo e che gode anche di una pubblicistica che ti suggerisce di non provarci. Si finisce così per accettare l’idea che è meglio andare nella segreteria dell’onorevole per ottenere il certificato, tanto al Comune non c’è speranza di averlo. Se poi l’onorevole non riesce neppure lui, è preferibile andare dal boss mafioso che sicuramente avrà successo. Così per la licenza edilizia, per l’appalto e poi per il piano urbanistico, ancora per gli interventi in ogni altro campo dalla sanità, al turismo, all’industria. Al palo resteranno le persone oneste. Lo studente meritevole che trova il posto occupato dal raccomandato. Il malato che trova il letto in ospedale usurpato dall’amico dell’amico. L’imprenditore che non vince la gara perché pilotata. Sappiamo bene che a tenere in piedi questo sistema del malaffare ci sono le bustarelle, riempite di soldi provenienti dall’evasione fiscale o dalla cattiva esecuzione dei lavori pubblici. Per non parlare della piaga del pizzo, in viaggio sul binario parallelo e convergente della criminalità organizzata, che le imprese pagano scaricandone il costo sui cittadini o risparmiando sulle tasse. Eppure ci abbiamo fatto l’abitudine.""
Non riusciamo più a provare uno spirito pubblico di ribellione, perché non riusciamo più a comprendere se quanto ci dicono sia vero, verosimile o falso. Si finisce così per scegliere il sistema delle clientele, della migliore lobby, della più efficiente corporazione, siano esse di sinistra, di centro o di destra. E se il garante dovesse essere mafioso, basta far finta di non saperlo, basta restare nella zona grigia. Nell’assenza di una senso unico e condiviso di legalità, collocandosi al diverso livello di legalità apparente che è più soggettivamente utile. Il fenomeno rischia di divenire talmente massiccio da giustificare come lecito ciò che realmente non lo è. Sembra così affermarsi un’idea di società nazionale e specialmente meridionale, totalmente in crisi in cui l’incertezza del senso condiviso della legalità è la spia della “perdita di valore” del patto che ci lega come cittadini."
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