Primo Maggio a Portella della Ginestra: “Il lavoro strumento di giustizia sociale e lotta alla mafia”

Primo Maggio a Portella della Ginestra, Antoci (M5S): “Il lavoro strumento di giustizia sociale e lotta alla mafia”,  Giuseppe Antoci, capolista del M5S nella circoscrizione “isole” alle elezioni europee, a margine del corteo in memoria della strage di Portella della Ginestra a cui a partecipato col Presidente Giuseppe Conte.  Portella   della   Ginestra : Di Paola (M5S): Governo Meloni smembra Stato Sociale.  Il coordinatore regionale Cinquestelle: “Nostre battaglie tutto l’anno per maggiori tutele per i cittadini”. PORTELLA DELLA GINESTRA, 1 mag 2024 -  “Oggi con Giuseppe Conte abbiamo ricordato la strage di Portella della Ginestra avvenuta l'1 Maggio 1947. Un’occasione importante per ribadire l’importanza del diritto al lavoro come strumento di giustizia sociale e di lotta alla mafia. Il sud continua ad avere il più alto tasso di disoccupazione in Italia; tasso ancora più elevato tra le donne. E proprio nel disagio si insinua la criminalità organizzata. C’è fame di lavoro, di di

IL MAXI PROCESSO DI PALERMO 25 ANNI DOPO NEL RACCONTO DI PIETRO GRASSO

14/12/2012 - Rai Educational presenta Res, di Giuseppe Giannotti e Davide Savelli, in onda domenica 16 e 23 dicembre alle 23 su Rai Storia - Digitale terrestre e TivùSat. Serie in due puntate sul maxi processo di Palermo, a 25 anni dalla storica sentenza di primo grado che condannò centinaia di uomini d’onore e svelò all’Italia i segreti della mafia siciliana.
“Maxi+25” racconterà la genesi del processo, con l’istruttoria firmata da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e dagli altri giudici del pool antimafia, e il delicato percorso che portò nell’aula bunker di Palermo, appositamente costruita, ben 475 imputati. “Giovanni Falcone - racconta il Procuratore Nazionale Antimafia, Pietro Grasso, giudice a latere nel maxi processo - si impose perché il dibattimento si svolgesse a Palermo, rifiutando la proposta di spostarlo a Roma. ”. Prima dell’inizio del dibattimento, il 10 febbraio 1986, della mafia si conosceva ancora poco.

Saranno soprattutto i pentiti protagonisti del processo a svelare segreti e retroscena dell’organizzazione, a cominciare dal nome: Cosa Nostra. Su tutti, Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno, due uomini d’onore usciti sconfitti dalla seconda guerra di mafia, e ai quali i Corleonesi, le famiglie mafiose vincenti, avevano ucciso parenti e amici. Dalle loro testimonianze in aula, che all’interno di “Maxi + 25” verranno riproposte nei momenti più importanti, emergeranno le prove decisive per incastrare Pippò Calò, Michele Greco, Luciano Liggio, i grandi padrini finalmente alla sbarra, o uomini come Bernardo Provenzano e Totò Riina, condannati all’ergastolo benché latitanti. “La soddisfazione di vedere la mafia in faccia – ricorda il giudice Giuseppe Ayala – era pari al senso di responsabilità per il compito a cui eravamo stati chiamati”.

Il racconto delle principali udienze e dei passaggi salienti del dibattimento si intreccerà ai ricordi e alle testimonianze dei protagonisti. Tra questi, l’attuale Procuratore Nazionale Antimafia, Pietro Grasso, giudice a latere e memoria storica del processo, il Presidente della Corte, Alfonso Giordano, il giudice Giuseppe Ayala, pm dell’accusa; ma anche giornalisti, avvocati, giudici popolari, Leoluca Orlando, sindaco di Palermo in quegli anni, e il Capo della Polizia Antonio Manganelli, ex vicecapo del Nucleo Anticrimine, che si occupò della gestione della collaborazione di Buscetta.

“Maxi + 25” porterà il racconto nell’aula bunker, l’astronave verde, come venne definita all’epoca dai palermitani. Tra i momenti più toccanti, il confronto faccia a faccia tra Pippò Calò e Tommaso Buscetta, definito dal Presidente Giordano “teatro giudiziario”. “Fu lì - ricorda Ayala – che capii che il processo non lo potevamo perdere”. Fino alla descrizione delle “camere della morte” da parte del pentito Vincenzo Sinagra, definito “un mattatoio”, da Mario Lombardo, membro della giuria popolare. E poi, le testimonianze delle parti civili, le madri e le vedove di mafia, che restituirono un’atmosfera drammatica e toccante all’intero processo. “L’Italia e il mondo guardavano Palermo, l’aula, la Corte”, ricorda Leoluca Orlando, il sindaco di Palermo.

Un percorso narrativo che permetterà di raccontare il “maxi”, quel processo che il Procuratore Grasso ha definito “mostro processuale”, come spartiacque della storia siciliana, come anno zero della lotta alla mafia, e come primo avvenimento giudiziario divenuto evento televisivo. Un’esperienza che ha cambiato le vite di chi ne ha preso parte, e che ha profondamente segnato, lungo i suoi due anni di dibattimento, un’epoca della storia della mafia e della vita di Palermo.
Palermo, infatti, sarà il filo conduttore che porterà il racconto di “Maxi + 25” fino ai giorni nostri, cercando di capire cosa resta del maxi processo a 25 anni di distanza. “Palermo è sicuramente cambiata – spiega Leoluca Orlando - nessuno tace rispetto alla parola mafia, ma e’ anche vero che la mafia e’ cambiata in una città che per troppi anni si e’ fatta palude”.

Un viaggio di attualizzazione che sarà un’analisi con chi la mafia la vive e la racconta oggi, nella Palermo del 2012, come il giovane cronista Giuseppe Pipitone, nato proprio 25 anni fa, nel 1987, durante il maxi processo, giornalisti come Francesco La Licata, Enrico Bellavia e Giuseppe Lo Bianco, gran conoscitori dei fenomeni mafiosi, o come Salvatore Cusumano, per anni volto di punta dell’informazione della Rai in Sicilia.

“La camera di consiglio che preluse alla sentenza del 16 dicembre 1987, fu la più lunga a memoria d’uomo”, racconta il Procuratore Grasso, che ricorda i momenti più importanti di quei giorni di “clausura”. Oggi i protagonisti scelgono di racchiudere il maxi processo nei suoi “mostruosi” numeri: 22 mesi di dibattimento, 349 udienze, 474 imputati, 8000 pagine di verbale, 1314 interrogatori., 635 arringhe difensive, 900 testimoni, 200 avvocati penalisti, 600 giornalisti arrivati da tutto il mondo. Ma soprattutto 19 ergastoli e 2665 anni di carcere per i principali boss di Cosa Nostra.

“E’ il punto di non ritorno della storia della lotta a Cosa Nostra”, spiega il giudice Ayala. “Sono passati 25 anni da sentenza e devo dire che è stata esperienza fondamentale della mia vita. Ho convinzione di avere fatto il mio dovere”, commenta il Presidente Giordano. “Finalmente – aggiunge il Procuratore Grasso – il mondo vedeva la mafia dietro le sbarre, e avrebbe visto condannati centinaia di mafiosi. L’impegno dello Stato, il sacrificio di tanti uomini, e il lavoro del pool di Falcone e Borsellino trovavano un riconoscimento giudiziario e una consacrazione alla storia

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