Vendita AGI, Antoci: “Operazione priva di trasparenza. Si applichi il Media Freedom Act”

Vendita AGI, Antoci (Capolista M5S Collegio “Isole”): “Operazione priva di trasparenza. Si applichi il Media Freedom Act”. Nota Stampa di Giuseppe Antoci, candidato capolista circoscrizione “Isole” alle elezioni europee col MoVimento Cinque Stelle 4 mag 2024 - "Lascia sgomenti la decisione di ENI, azienda partecipata dello stato, di trattare la cessione dell'agenzia di stampa AGI con il parlamentare leghista Angelucci. Un'operazione "folle", come giustamente definita da Giuseppe Conte. Altrettanto allarmante è il fatto che la vendita si stia realizzando mediante una trattativa privata in assenza di un bando di gara a tutela della trasparenza dell'operazione. Bisogna arginare condotte come queste applicando il "Media Freedom Act", legge europea per la libertà dei media tesa a proteggere i giornalisti e i media dell'UE da ingerenze politiche o economiche e ad evitare la concentrazione dei media sotto il controllo politico (come nel caso di Angeluc

PAPA FRANCESCO E IL DISARMO MONDIALE PER UN PIANETA LIBERO DA ARMI

L’Aquila / Papa Francesco, la Teologia dell’Azione e il Disarmo Mondiale per un pianeta libero da armi nucleari, chimiche e batteriologiche. Papa Bergoglio: “Ciascuno di noi è chiamato ad essere un artigiano della pace. No! Non possiamo mai rassegnarci di fronte al dolore di interi popoli, ostaggio della guerra, della miseria, dello sfruttamento.
Non possiamo assistere indifferenti e impotenti al dramma di bambini, famiglie, anziani, colpiti dalla violenza. Non possiamo lasciare che il terrorismo imprigioni il cuore di pochi violenti per seminare dolore e morte a tanti. In modo speciale diciamo con forza, tutti, continuamente, che non può esservi alcuna giustificazione religiosa alla violenza, in qualsiasi modo essa si manifesti”. Papa Francesco il 4 Ottobre sarà ad Assisi. Non per copiare il Beato Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Per celebrare l’umiltà di San Francesco, Patrono d’Italia, il dono di Dio all’umanità. Dio benedica e salvi l’Italia.
(di Nicola Facciolini)
“Dove vediamo odio e buio, cerchiamo di portare un po’ di amore e di speranza, per dare un volto più umano alla società”(Papa Francesco). Lunedì 30 Settembre 2013, alle ore 10, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, durante la celebrazione dell’Ora Terza, Papa Francesco ha tenuto il Concistoro Ordinario Pubblico per la Canonizzazione dei Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Papa Bergoglio ha decretato che Papa Roncalli e Papa Wojtyla siano iscritti nell’Albo dei Santi il 27 Aprile 2014, Domenica II di Pasqua, della Divina Misericordia. Una settimana dopo la Santa Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo (20 Aprile). Papa Roncalli e Papa Wojtyla sono stati protagonisti della promozione dell’autentica dignità dell’Uomo sulla Terra. “Non possiamo mai rassegnarci di fronte al dolore di interi popoli, ostaggio della guerra, della miseria, dello sfruttamento” – dichiara Papa Francesco richiamando l’invocazione che Giovanni Paolo II lanciò ad Assisi nel 1986 quando radunò i responsabili delle Chiese e delle comunità ecclesiali e religiose di tutti i continenti a pregare per la pace nel mondo, invitandoli a operare “non più gli uni contro gli altri, ma gli uni accanto agli altri”. E proprio nel giorno in cui viene ufficialmente annunciata la data della canonizzazione del Pontefice polacco, Papa Bergoglio rilancia il suo appello di pace incontrando i leader religiosi riuniti in questi giorni a Roma per partecipare all’incontro internazionale promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. A loro il Santo Padre ricorda che “non può esservi alcuna giustificazione religiosa alla violenza, in qualsiasi modo essa si manifesti: per la pace ci vuole un dialogo tenace, paziente, forte, intelligente”. Il Pontefice torna a chiedere di pregare per la Siria e il Medio Oriente. Ai membri della Comunità di Sant’Egidio ed ai rappresentanti delle Chiese, delle comunità ecclesiali e delle grandi religioni presenti a Roma per il 27mo incontro per la pace, dal titolo “Il coraggio della speranza”, Papa Francesco ha rivolto l’invito a “conservare accesa la lampada della speranza, pregando e lavorando per la pace. In questi mesi sentiamo che il mondo ha bisogno dello spirito che ha animato l’incontro di Assisi”. Papa Francesco va con il pensiero al 1986, a quando Giovanni Paolo II volle nella cittadina umbra un incontro di preghiera tra i leader religiosi di tutto il mondo in nome della pace: “non più gli uni contro gli altri, ma gli uni accanto agli altri”. Nel suo discorso Papa Bergoglio incoraggia i membri della Comunità di Sant’Egidio, che da quel lontano 1986 ripropongono ogni anno l’incontro tra le religioni, a proseguire il cammino tracciato dal Beato Wojtyla. “No! Non possiamo mai rassegnarci di fronte al dolore di interi popoli, ostaggio della guerra, della miseria, dello sfruttamento. Non possiamo assistere indifferenti e impotenti al dramma di bambini, famiglie, anziani, colpiti dalla violenza. Non possiamo lasciare che il terrorismo imprigioni il cuore di pochi violenti per seminare dolore e morte a tanti. In modo speciale diciamo con forza, tutti, continuamente, che non può esservi alcuna giustificazione religiosa alla violenza, in qualsiasi modo essa si manifesti”. Il Santo Padre ricorda ciò che diceva Benedetto XVI quando si celebrò, due anni fa, il 25mo Perdono di Assisi: “bisogna cancellare ogni forma di violenza motivata religiosamente, e insieme vigilare affinché il mondo non cada preda di quella violenza che è contenuta in ogni progetto di civiltà che si basa sul ‘no’ a Dio”. Secondo Papa Francesco “come responsabili delle diverse religioni possiamo fare molto. La pace è responsabilità di tutti. Pregare per la pace, lavorare per la pace! Un leader religioso è sempre uomo o donna di pace, perché il comandamento della pace è inscritto nel profondo delle tradizioni religiose che rappresentiamo”. Cosa fare? Il Papa chiede a tutti, prendendo spunto dal titolo del convegno, una scelta di campo netta: “il coraggio del dialogo che dà speranza, senza il dialogo c’è poca pace, si stenta a uscire dallo stretto orizzonte dei propri interessi, per aprirsi a un vero e sincero confronto. Il dialogo può vincere la guerra. Il dialogo fa vivere insieme persone di differenti generazioni, che spesso si ignorano; fa vivere insieme cittadini di diverse provenienze etniche, di diverse convinzioni. Il dialogo è la via della pace. Perché il dialogo favorisce l’intesa, l’armonia, la concordia, la pace. Per questo è vitale che cresca, che si allarghi tra la gente di ogni condizione e convinzione come una rete di pace che protegge il mondo e soprattutto protegge i più deboli”. Papa Bergoglio sollecita tutti i leader religiosi, chiamati ad essere veri “dialoganti”, a costruire la pace dei cuori come mediatori e non intermediari, perché se questi ultimi cercano un guadagno per sé, i primi sono coloro che si spendono generosamente, fino a consumarsi, per un unico guadagno: la pace. “Ciascuno di noi è chiamato ad essere un artigiano della pace, unendo e non dividendo, estinguendo l’odio e non conservandolo, aprendo le vie del dialogo e non innalzando nuovi muri! Dialogare, incontrarci per instaurare nel mondo la cultura del dialogo, la cultura dell’incontro”. Il Papa chiede preghiere per la pace in Siria, in Medio Oriente, in tanti Paesi del mondo. Il suo auspicio che il “coraggio di pace doni il coraggio della speranza al mondo, a tutti quelli che soffrono per la guerra, ai giovani che guardano preoccupati il loro futuro”. È il senso del monito di Vladimir Putin, il Presidente della Federazione Russa: “Bisogna eliminare le armi chimiche presenti sul pianeta. È necessario distruggere tutte le armi chimiche presenti al mondo”. Mosca è pronta a contribuire finanziariamente all’eliminazione degli arsenali siriani di sostanze proibite. “Rispetteremo fino in fondo la risoluzione Onu sullo smantellamento delle armi chimiche” – dichiara il Presidente della Siria, Bashar al Assad, nell’intervista esclusiva rilasciata al direttore di RaiNews24, Monica Maggioni, la prima giornalista italiana ad entrare nel Paese dopo lo scampato bombardamento americano della Siria (www.youtube.com/watch?v=WD42IgJywnI&feature=share), grazie alla decisiva iniziativa diplomatica cristiana della Russia di Putin. Il presidente siriano assicura l’impegno e la collaborazione del suo governo agli esperti dell’Opac e mette in guardia
dai “problemi di aspetto tecnico”, riguardanti lo smaltimento, per la presenza di cellule terroristiche straniere nel paese. Assad ribadisce che rispetterà la risoluzione delle Nazioni Unite e gli accordi sul disarmo chimico. Un team di 20 esperti dell’Onu dalla Norvegia raggiunge Damasco per monitorare la prima delle tante fasi previste per smantellare l’arsenale chimico siriano, uno dei tanti al mondo. Una missione non facile, come lo stesso Presidente ha ammesso nell’intervista. Bashar è ritornato poi sull’attacco del 21 Agosto, rigettando categoricamente la tesi di chi lo vede responsabile e escludendo che qualcuno tra gli alti ranghi militari abbia avviato l’attacco senza consultarlo “perché – assicura Assad – unità specializzate nel maneggiare queste armi avrebbero dovuto essere chiamate a congiungersi all’esercito”. Senza mezzi termini Assad critica il ruolo dell’Europa sottomessa agli Stati Uniti nell’assumere le sue decisioni politiche, ed autrice di un pesantissimo embargo. La guerra in Siria però continua. Pieno sostegno al lavoro e all’impegno umanitario dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (Opac) e una nuova esortazione alla comunità internazionale perché rigetti compatta questo tipo di armamenti, è quanto espresso da Papa Francesco al direttore generale dell’Opac, Ahmet Üzümcü, ricevuto in udienza in Vaticano. Dal canto suo, riferisce un comunicato ufficiale dell’Opac, Üzümcü ha illustrato al Papa il lavoro della struttura da lui diretta, in particolare “le attività critiche assegnate all’Organizzazione in Siria per verificare l’eliminazione delle sue armi chimiche”. In sintonia con la “particolare fermezza” nella condanna delle armi chimiche riaffermata da Papa Francesco all’Angelus del 1° Settembre 2013, è stato inoltre concordato che le tali armamenti non hanno alcun posto nel mondo e che la comunità internazionale deve continuare i propri sforzi per eliminarle e far sì che non possano mai riemergere. È stato anche sottolineato che un passo cruciale in questi sforzi è quello di raggiungere l’universalità della Convenzione sulle armi chimiche, e che la scienza chimica può essere utilizzata solo per scopi pacifici al servizio dell’umanità. La Santa Sede intrattiene rapporti formali con l’Opac attraverso il suo osservatore permanente, il nunzio all’Aja, l’arcivescovo André pierre Louis Dupuy. Per un mondo anche libero dalle armi nucleari, il 26 Settembre 2013 a New York City, l’arcivescovo segretario per i rapporti con gli Stati, Mons. Dominique Mamberti, durante l’Incontro di alto livello dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sul disarmo, ha dichiarato che “la risoluzione dell’Assemblea Generale con la quale si convoca l’odierno incontro di alto livello sul disarmo nucleare esprimeva la convinzione comune che l’eliminazione completa delle armi nucleari è essenziale per rimuovere il pericolo di una guerra nucleare, obiettivo al quale dobbiamo dare la massima priorità. La Santa Sede, che da molto tempo auspica la messa al bando di queste armi di distruzione di massa, partecipa a questo sforzo concertato di dare un’espressione forte al grido dell’umanità per essere liberata dallo spettro della guerra nucleare. In base ai termini del Trattato di non proliferazione, agli Stati viene imposto di compiere sforzi “in buona fede” per negoziare l’eliminazione delle armi nucleari. Possiamo dire che c’è “buona fede” quando i programmi di modernizzazione degli Stati possessori di armi nucleari proseguono malgrado le loro dichiarazioni riguardo a un futuro disarmo nucleare? La preoccupazione per la proliferazione delle armi nucleari in altri paesi suonerà vuota fintanto che gli Stati possessori di armi nucleari rimarranno attaccati alle proprie armi. Se l’incontro odierno vuole avere un’importanza storica, deve portare a un impegno significativo da parte degli Stati possessori di armi nucleari a privarsi di queste armi. Cinque anni fa, il Segretario Generale ha presentato un piano in cinque punti per il disarmo nucleare. È ora che a questo piano venga dedicata la seria attenzione che merita. Al centro dello stesso c’è la negoziazione di una Convenzione sulle armi nucleari o di un quadro di strumenti che portino direttamente ad un messa al bando globale degli armamenti nucleari. È un obiettivo nitido, pienamente comprensibile e sostenibile da parte di tutti coloro che davvero vogliono che il mondo vada oltre le tetre dottrine della distruzione reciproca certa. Adesso è imperativo che noi affrontiamo in modo sistematico e coerente i requisiti legali, politici e tecnici per un mondo libero da armi nucleari. Per questa ragione, dovremmo iniziare al più presto il lavoro preparatorio per una Convenzione o per un accordo quadro per un’eliminazione delle armi nucleari graduale e verificabile. L’ostacolo principale all’inizio di questi lavori è la persistente adesione alla dottrina della deterrenza nucleare. Con la fine della guerra fredda, i tempi in cui questa dottrina poteva essere accettata sono ormai superati. La Santa Sede non ammette il proseguimento della deterrenza nucleare, poiché è evidente che sta favorendo lo sviluppo di armi sempre più nuove, impedendo così un disarmo nucleare autentico. Per molti anni al mondo è stato detto che una serie di misure alla fine avrebbe portato al disarmo nucleare. Queste argomentazioni sono smentite dalla natura straordinaria dell’incontro odierno, che certamente non sarebbe stato convocato se queste misure fossero funzionanti. Non lo sono. È la dottrina militare della deterrenza nucleare, sostenuta politicamente dagli Stati possessori di armi nucleari, che bisogna affrontare per spezzare la catena della dipendenza dalla deterrenza. Urge iniziare a lavorare su un approccio globale per offrire sicurezza senza affidarsi alla deterrenza nucleare. Non possiamo giustificare la continuazione di una politica di deterrenza nucleare permanente, data la perdita di risorse umane, finanziarie e materiali in un tempo in cui scarseggiano i fondi per la salute, l’educazione e i servizi sociali in tutto il mondo, e dinanzi alle attuali minacce alla sicurezza umana, quali la povertà, i cambiamenti climatici, il terrorismo e i crimini transnazionali. Tutto ciò dovrebbe farci riflettere sulla dimensione etica e la legittimità morale della produzione delle armi nucleari, della loro elaborazione, sviluppo, accumulo e uso, nonché della minaccia di usarle. Dobbiamo evidenziare di nuovo che le dottrine militari basate sulle armi nucleari quali strumento di sicurezza e di difesa di un gruppo elitario, in una esibizione di potere e supremazia, ritardano e mettono a repentaglio il processo di disarmo nucleare e di non proliferazione. È ora di contrastare la logica della paura con l’etica della responsabilità, alimentando un clima di fiducia e di dialogo sincero, capace di promuovere una cultura di pace, fondata sul primato del diritto e del bene comune, attraverso la cooperazione coerente e responsabile di tutti i membri della comunità internazionale”. Il Papa ha un’idea molto precisa della “dinamicità” nella Chiesa del XXI Secolo. “Non un’organizzazione e una programmazione perfette, ma pace e gioia sono il segno della presenza di Dio nella Chiesa” – afferma il Papa in Santa Marta. “I discepoli erano entusiasti, facevano programmi, progetti per il futuro sull’organizzazione della Chiesa nascente, discutevano su chi fosse il più grande e impedivano di fare il bene in nome di Gesù a quanti non appartenevano al loro gruppo. Ma Gesù – spiega il Papa – li sorprende, spostando il centro della discussione dall’organizzazione ai bambini: ‘Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi – dice - questi è grande!’. Così, nella Lettura del profeta Zaccaria si parla dei segni della presenza di Dio: non ‘una bella organizzazione’ né ‘un governo che vada avanti, tutto pulito e tutto perfetto’, ma gli anziani che siedono nelle piazze e i fanciulli che giocano”. Il rischio è quello di scartare sia gli anziani che i bambini. “E duro è il monito di Gesù verso chi scandalizza i più piccoli: il futuro di un popolo è proprio qui, nei vecchi e nei bambini. Un popolo che non si prende cura dei suoi vecchi e dei suoi bambini non ha futuro, perché non avrà memoria e non avrà promessa! I vecchi e i bambini sono il futuro di un popolo! Quanto è comune lasciarli da parte, no? I bambini, tranquillizzarli con una caramella, con un gioco: ‘Fai, fai; Vai, vai’. E i vecchi non lasciarli parlare, fare a meno del loro consiglio: ‘Sono vecchi, poveretti’. I discepoli – rivela il Papa – non capivano. Io capisco, i discepoli volevano l’efficacia, volevano che la Chiesa andasse avanti senza problemi e questo può diventare una tentazione per la Chiesa: la Chiesa del funzionalismo! La Chiesa ben organizzata! Tutto a posto, ma senza memoria e senza promessa! Questa Chiesa, così, non andrà: sarà la Chiesa della lotta per il potere, sarà la Chiesa delle gelosie fra i battezzati e tante altre cose che ci sono quando non c’è memoria e non c’è promessa”. Dunque, la vitalità della Chiesa “non è data da documenti e riunioni per pianificare e far bene le cose: queste sono realtà necessarie, ma non sono il segno della presenza di Dio. Il segno della presenza di Dio è questo, così disse il Signore: ‘Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità. E le piazze della città formicoleranno di fanciulli e fanciulle che giocheranno sulle sue piazze’. Gioco ci fa pensare a gioia: è la gioia del Signore. E questi anziani, seduti col bastone in mano, tranquilli, ci fanno pensare alla pace. Pace e gioia: questa è l’aria della Chiesa!”. Il catechista, allora, è colui che per vocazione e non per titoli alimenta e risveglia negli altri “la memoria di Dio, senza la quale un essere umano - non escluso un cristiano - rischia di svuotarsi e di diventare simile al ricco del Vangelo, incapace che di pensare a se stesso”. È il tema focale dell’omelia che Papa Francesco ha pronunciato Domenica 29 Settembre 2013 in una Piazza San Pietro gremita da almeno 80mila persone, nel presiedere la Messa per la Giornata dei catechisti giunti da tutto il mondo per celebrare l’Anno della Fede. La riflessione del Santo Padre è fulminante: cosa succede se un cristiano, come il ricco del Vangelo ricordato dalla liturgia domenicale, si compiace solo del suo benessere ignorando i tanti Lazzaro che gli chiedono un aiuto? La domanda che aleggia nel mondo e nel cielo di Roma, scuro presago di tempesta, sembra in sintonia col tono insolitamente grave col quale Papa Francesco sviluppa il suo pensiero. Poco prima è risuonato il monito del profeta Amos:“Guai agli spensierati di Sion che mangiano, bevono, cantano, si divertono e non si curano dei problemi degli altri”(Am 6,1.4). Questa “è gente – insegna il Papa – che sta sull’orlo di un abisso di disumanizzazione: se le cose, il denaro, la mondanità diventano centro della vita ci afferrano, ci possiedono e noi perdiamo la nostra stessa identità di uomini. Guardate bene: il ricco del Vangelo non ha nome, è semplicemente ‘un ricco’. Le cose, ciò che possiede sono il suo volto, non ne ha altri”. Questi esseri spersonalizzati come Alieni ostili che “si sono fatti rubare l’umanità dalle cose che possiedono hanno – osserva Papa Francesco – un deficit comune, l’aver perso la memoria di Dio: se manca la memoria di Dio, tutto si appiattisce, tutto va sull’io, sul mio benessere. La vita, il mondo, gli altri, perdono la consistenza, non contano più nulla, tutto si riduce a una sola dimensione: l’avere. Se perdiamo la memoria di Dio, anche noi stessi perdiamo consistenza, anche noi ci svuotiamo, perdiamo il nostro volto come il ricco del Vangelo! Chi corre dietro al nulla diventa lui stesso nullità – dice un altro grande profeta, Geremia. Noi siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio, non a immagine e somiglianza delle cose, degli idoli!”. In questo geniale contrasto di opposti, emerge ben delineata la figura del catechista autentico, che “altri non è che colui o colei – asserisce Papa Francesco – che custodisce e alimenta la memoria di Dio, facendosi guidare da essa e risvegliandola negli altri. Il suo modello è Maria che dopo aver accolto l’annuncio dell’Angelo non pensa all’onore, al prestigio, ma parte per aiutare la cugina Elisabetta e levando il suo Magnificat fa memoria dell’agire di Dio” avvenuto nella sua vita. “Il catechista – rivela Papa Bergoglio – è proprio un cristiano che mette questa memoria al servizio dell’annuncio; non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per parlare di Dio, del suo amore, della sua fedeltà. Parlare e trasmettere tutto quello che Dio ha rivelato, cioè la dottrina nella sua totalità, senza tagliare né aggiungere. Lo stesso Catechismo – osserva il Papa – che cos’è se non memoria di Dio, memoria della sua azione nella storia, del suo essersi fatto vicino a noi in Cristo, presente nella sua Parola, nei Sacramenti, nella sua Chiesa, nel suo amore?”. Così, l’identikit del catechista che traccia Papa Francesco è in solare antitesi al ricco del Vangelo e alla sua indifferenza spietata verso il povero Lazzaro. “Il catechista è uomo della memoria di Dio se ha un costante, vitale rapporto con Lui e con il prossimo; se è uomo di fede, che si fida veramente di Dio e pone in Lui la sua sicurezza; se è uomo di carità, di amore, che vede tutti come fratelli; se è uomo di “hypomoné”, di pazienza, di perseveranza, che sa affrontare le difficoltà, le prove, gli insuccessi, con serenità e speranza nel Signore; se è uomo mite, capace di comprensione e di misericordia”. Prima della benedizione finale, l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, ha presentato al Papa le catechiste e i catechisti giunti a Roma da ogni latitudine, dal Vietnam come da Haiti, dalla Siria alla Nigeria, “i quali – ha affermato – sono il segno tangibile che il cristianesimo è vivo e continua a essere annunciato”. L’Angelus, recitato in Piazza San Pietro qualche minuto prima di mezzogiorno, ha chiuso la celebrazione, preceduto da alcuni saluti particolari di Papa Francesco, uno dei quali è stato indirizzato “al mio fratello, Sua Beatitudine Youhanna X, Patriarca greco ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente. La sua presenza ci invita a pregare ancora una volta per la pace in Siria e nel Medio Oriente. Preghiamo il Signore perché siamo tutti uomini e donne che custodiscono e alimentano la memoria di Dio nella propria vita e la sanno risvegliare nel cuore degli altri. Amen”. Il giorno prima Papa Francesco ha incontrato, nel pomeriggio, i partecipanti al Congresso Internazionale sulla Catechesi organizzato nell’Aula Paolo VI, in Vaticano, nell’ambito dell’Anno delle Fede. Il Santo Padre nel suo discorso sottolinea che “la catechesi è un pilastro per l’educazione della fede. Ci vogliono buoni catechisti!” – ha esclamato Papa Bergoglio, ringraziando i presenti per questo servizio “alla Chiesa e nella Chiesa. Anche se a volte può essere difficile si lavora tanto, ci si impegna e non si vedono i risultati voluti, educare nella fede è bello! Ma è forse la migliore eredità che noi possiamo dare: la fede! Educare nella fede perché cresca. Aiutare i bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti a conoscere e ad amare sempre di più il Signore è una delle avventure educative più belle, si costruisce la Chiesa! ‘Essere’ catechisti! Non lavorare da catechisti, eh! – osserva Papa Francesco – Questo non serve! ‘Io lavoro da catechista perché mi piace insegnare’. Ma se tu non sei catechista, non serve! Non sarai fecondo! Non sarai feconda! Catechista è una vocazione: ‘essere catechista’, quella è la vocazione; non lavorare da catechista. Badate bene, non ho detto ‘fare’ i catechisti, ma ‘esserlo’, perché coinvolge la vita. Si guida all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza”. Il Papa invita a ricordare quello che Benedetto XVI ha detto: “La Chiesa non cresce per proselitismo. Cresce per attrazione” gravitazionale. “E quello che attrae – precisa Papa Bergoglio – è la testimonianza. Essere catechista significa dare testimonianza della fede; essere coerente nella propria vita. E questo non è facile. Non è facile! Noi aiutiamo, noi guidiamo all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza”. Il Santo Padre ha ricordato quello che San Francesco di Assisi (il 4 Ottobre 2013 Papa Francesco visiterà il Sacro Convento in occasione della solennità del Santo) diceva ai suoi frati: “Predicate sempre il Vangelo e se fosse necessario anche con le parole”. Ma prima viene la testimonianza. “Che la gente veda nella nostra vita il Vangelo, possa leggere il Vangelo”. Ed “essere catechisti chiede amore, amore sempre più forte a Cristo, amore al suo popolo santo. E questo amore non si compra nei negozi – avverte il Papa – non si compra qui a Roma, neppure. Questo amore viene da Cristo! È un regalo di Cristo! È un regalo di Cristo! E se viene da Cristo parte da Cristo e noi dobbiamo ripartire da Cristo, da questo amore che Lui ci dà. Che cosa significa questo ripartire da Cristo per un catechista, per voi, anche per me, perché anch’io sono catechista? Cosa significa?”. Papa Bergoglio risponde con tre riflessioni o cose. “Uno, due e tre, come facevano i vecchi gesuiti: uno, due e tre! Prima di tutto – rivela il Papa – ripartire da Cristo significa avere familiarità con Lui. Ma avere questa familiarità con Gesù: Gesù lo raccomanda con insistenza ai discepoli nell’Ultima Cena, quando si avvia a vivere il dono più alto di amore, il sacrificio della Croce. Gesù utilizza l’immagine della vite e dei tralci e dice: rimanete nel mio amore, rimanete attaccati a me, come il tralcio è attaccato alla vite. Se siamo uniti a Lui possiamo portare frutto, e questa è la familiarità con Cristo. Rimanere in Gesù! È un rimanere attaccato a Lui, dentro di Lui, con Lui, parlando con Lui: ma, rimanere in Gesù.
La prima cosa, per un discepolo – sottolinea il Santo Padre – è stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui. E questo vale sempre, è un cammino che dura tutta la vita”. Quindi, ricorda che tante volte nella diocesi di Buenos Aires aveva visto alla fine dei corsi nel seminario catechistico, i catechisti che uscivano dicendo: ‘Ho il titolo di catechista!’. “Quello non serve, non hai niente – insegna il Papa – hai fatto una piccola stradina, eh! Chi ti aiuterà? Questo vale sempre! Non è un titolo, è un atteggiamento: stare con Lui e dura tutta la vita! È uno stare alla presenza del Signore, lasciarsi guardare da Lui. Io vi domando: come voi state alla presenza del Signore? Quando vai dal Signore, guardi il Tabernacolo, cosa fate? Senza parole. ‘Ma, io dico, dico, penso, medito, sento’. Molto bene! Ma tu ti lasci guardare dal Signore? Lasciarci guardare dal Signore! Lui ci guarda e questa è una maniera di pregare. Ti lasci guardare dal Signore? ‘Ma come si fa?’. Guardi il Tabernacolo e lasciati guardare. È semplice! ‘È un po’ noioso, mi addormento’. Addormentati! Addormentati! Lui ti guarderà lo stesso.

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