Le più belle canzoni siciliane d'autore di Mimmo Mòllica: "Un mio amico mi chiedeva ragguagli sul testo della canzone Lu focu di la pagghia
, che ha trovato plausibile nella versione pubblicata nel mio volume Le più belle canzoni Siciliane, mentre trovava del tutto improbabile la versione cantata ed incisa dalla stessa Rosa Balistreri e ripetuta pedissequamente da vari altri interpreti, versione largamente diffusa anche nel web. In effetti...
03/01/2016 - La grande scrittrice Dacia Maraini nel suo romanzo "La grande festa" cita il bel libro curato da Mimmo Mòllica,
"Le più belle canzoni siciliane” (Armenio Editore) e pubblica alcuni testi “non edulcorati da stupidi compiacimenti hollywoodiani”. La cancellazione della canzone siciliana da tutta la programmazione radiofonica e televisiva non è riuscita, suo malgrado, ad ‘abrogare’ questo immenso patrimonio, che tiene in vita la Sicilia, i suoi personaggi, le sue colonne doriche, le malefatte, la bellezza, la musica, la storia. C’è vita in quelle vituperate canzonette, c’è anima, e il tempo per schiacciare il serpente non sembra essere ancora venuto. Ad onta dei palinsesti e delle playlist, il cinema e la letteratura (r)esistono ancora a sovvertire gli oroscopi.
In una sua interessante intervista su L’Unità, Federica Fantozzi attribuisce allo scrittore Andrea Camilleri, “autore di romanzi polizieschi che hanno per protagonista il fascinoso commissario Montalbano di Vigata”, “una piccola grande vittoria: ha patrocinato la rinascita del dialetto siciliano, sparso a piene mani tra le sue pagine e sbarcato così, un po’ di soppiatto e talvolta controvoglia, nella testa dei lettori. Compresi quelli (tanti) del Lombardo Veneto”.
Per Andrea Camilleri «il dialetto non è solo importante, è la linfa vitale della nostra lingua italiana. Ma in sé e per sé non ha senso, se non è dentro la lingua. Soprattutto l’insegnamento del dialetto a scuola è una proposta insensata. Vede, il rischio in Italia era la perdita del dialetto. Ma non si può andare all’opposto ed eleggere il dialetto a lingua».
La promozione della letteratura e del patrimonio linguistico siciliano nelle scuole non esclude la canzone. Anzi. La canzone è certamente 'strumento' culturale sintetico e privilegiato di insegnamento, a condizione - però - che non trasmetta errori e arbitrarie suggestioni o casualità.
Il 1 dicembre 2012 così scrivevo in una lettera-aperta a Franco Battiato, in quei mesi Assessore al Turismo della Regione Siciliana:
"Al telefono, un mio amico mi chiedeva ragguagli sul testo della canzone Lu focu di la pagghia, che ha trovato plausibile nella versione pubblicata nel mio volume Le più belle canzoni Siciliane, mentre trovava del tutto improbabile la versione cantata ed incisa dalla stessa Rosa Balistreri e ripetuta pedissequamente da vari altri interpreti, versione largamente diffusa anche nel web.
In effetti, negli anni della nostra amicizia e collaborazione, feci notare a Rosa Balistreri certe incongruenze di quel testo, ma lei ribattè che l’aveva imparata a quel modo e che nella vecchiaia le veniva difficile farsi entrare in testa parole nuove. Oggi penso che da Youtube in avanti è sempre più facile, specie nel web, leggere o ascoltare brani di genere e latitudine diversi con testi errati o inconcludenti. La canzone Lu focu di la pagghia - ad esempio - che qua viene presa a ‘modello’ (ma non è l'unico caso), è ‘universalmente’ diffusa nella versione ‘sbagliata’, cantata dalla straordinaria e bravissima Rosa Balistreri, che così la cantava:
Lu focu di la paglia pocu dura
quantu l'amuri di la munzignara
l'amuri ca durò menu d'un’ura,
vampa la capricciusa di mavara.
Il fuoco di paglia poco dura / quanto l’amore della menzognera /
l’amore tuo durò meno d’un’ora: / vampa la capricciosa di megera.
L'occhiu amurusu miu ti vitti chiara
surgiva d'acqua cristallina e pura,
ma mètiri li petri di ciumara
è lu risparmiu di la fugnatura.
L’occhio amoroso mio ti vide chiara / sorgiva d’acqua cristallina e pura, /
ma mietere le pietre di fiumara / è il risparmio della fognatura
Lasciando da parte tutto il resto, mietere pietre di fiumara potrebbe pure essere un’amara espressione ‘poetica’ ma cosa avrebbe a che vedere col risparmio della fognatura? Questo, infatti, sarebbe il significato dei versi cantati da Rosa Balistreri. Inoltre, vampa la capricciusa non ha senso compiuto né in lingua siciliana, né nella relativa traduzione in lingua italiana. Così continua il testo cantato dalla Balistreri, che potrete rintracciare facilmente su Youtube:
Stannu sunannu a mortu li campani
ora ca tu ammazzasti lu miu amuri,
lu suli ca scurò cielu è lu mari
e lu me cori è chinu di duluri.
Stanno suonando a morto le campane / ora che tu hai ammazzato il mio amore /
il sole che oscurò il cielo e il mare / e il mio cuore è pieno di dolore.
Mi lu mittisti a modu di littani,
stannu scavannu fossi e sipurturi,
cercanu crozzi e mali cristiani
pi darimi li spini ‘n canciu di ciuri!
Me lo mettesti a modo di ‘littani / stanno scavando fosse e sepolture /
cercano crozze e cattive persone / per darmi spine in cambio di fiori.
C’è ben poco che funzioni in queste due ultime quartine che così possono essere tradotte in lingua italiana. Ma cosa si potrebbe intendere per littani? Nel canto si parla di 'mettere a mollo' (a moddu e non a modu) li liami, i giunchi adoperati per le legature dei sarmenti (i legami quindi). Per il resto non c’è un senso logico né grammaticale. Certamente no!
Rosa Balistreri è stata unica per bravura e qualità vocali. Ha incarnato il ruolo che nel mondo poche interpreti del genere popolare hanno saputo assumere, assieme ad Amalia Rodrigues, Maria Carta, Giovanna Marini, Caterina Bueno o Concetta Barra. Ma ciò non deve rendere superstiziosi al punto da non volerci ravvedere laddove la tradizione orale mostri i suoi amabilissimi e comprensibili limiti."
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