Casteldaccia: la morte di 5 operai lascia sgomenti, ennesimo incidente sul lavoro grave e inaccettabile

Incidente sul lavoro a Casteldaccia: cinque lavoratori perdono la vita e un sesto è in gravi condizioni. La Cisal indice per domani, martedì 7 maggio, uno sciopero generale di 4 ore nel settore privato, a partire dall’inizio del turno di lavoro, "mentre dalle 9 terremo un sit-in di fronte alla Prefettura di Palermo”.   Palermo, 6 maggio 2024 – "L'incidente sul lavoro che a Casteldaccia, in provincia di Palermo, ha portato alla morte di cinque operai e al ferimento di un sesto, ci lascia sgomenti. Esprimiamo cordoglio e vicinanza alle famiglie dei lavoratori coinvolti e chiediamo che si accertino al più presto le cause di questo ennesimo incidente sul lavoro, grave e inaccettabile. La sicurezza sul lavoro è un'emergenza nazionale e come tale va affrontata a ogni livello, coinvolgendo sindacati, imprese e istituzioni". Lo dicono Giuseppe Badagliacca e Daniele Ciulla di Federerenergia Cisal in merito all'incidente sul lavoro avvenuto a Castaldaccia, nel Palermit

PINO DANIELE: LE SUE CANZONI POTREMMO CHIAMARLE "PEPPE O GGIRO"

di Mimmo Mòllica - Pino Daniele, descritto come cantante, chitarrista e compositore italiano affermatosi “mescolando nei testi l'italiano, l'inglese e il dialetto napoletano”, in effetti è stato capace di sovvertire gli oroscopi in materia di egemonia linguistica, e non solo; al pari di Andrea Camilleri, Totò ed Eduardo De Filippo, ha portato i contenuti delle sue canzoni nel mondo. 

06/01/2015 - Pino Daniele su Treccani.it viene descritto come cantante, chitarrista e compositore italiano affermatosi “mescolando nei testi l'italiano, l'inglese e il dialetto napoletano” delle quali lingue il grande cantautore “ha mostrato l'affinità con le metriche delle melodie afroamericane” e nella musica la solarità mediterranea con l'espressionismo del blues. Parole che riteniamo condivisibili (solarità a parte) per rendere merito ad un personaggio dai molti talenti e dalla notevole bravura creativa e interpretativa, capace di sovvertire gli oroscopi in materia di egemonia linguistica, e non solo.

Pino Daniele, artista affermatosi in tutto il mondo (al pari di Andrea Camilleri e Totò), ha fatto cantare i fans di mezzo mondo in lingua napoletana, facendosi comprendere e amare, e portando i contenuti delle sue canzoni in ogni dove. L’arte e la padronanza linguistica di Pino Daniele dimostrano che “non c’è periferia nell’arte”, come sostiene Vittorio Sgarbi; che la comprensione tra i popoli è possibile al di là delle normalizzazioni linguistiche. Sicché l’egemonia della lingua inglese nel mondo commerciale, borsistico e tecnologico-digitale è, al pari dell’euro, un fatto di potere, una minorità politica, una faccenda di predominio, di supremazia politica ed economica.
Egemonismo, appunto, ricollegabile a predominanza politica e non culturale, “sulla considerazione che l’ignoranza del leggere e dello scrivere non importa minorità mentale”, come scrive Benedetto Croce.

Allora, per favore, non parliamo di "Neapolitan Power" per elogiare la vena rivoluzionaria e innovativa di Pino Daniele, magari parliamo di “genialità latina” di “potenza dell’arte” di “sangue e dna partenopeo”. Parliamo dei grandi geni dell’arte, da Eduardo De Filippo, nel teatro e nella poesia, a Totò, dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare a Roberto De Simone in persona.
Che mescolanza c’è nella poesia di Pino Daniele che non sia già presente nella 'neapolitan' realtà quotidiana e storica?

“Tammuriata nera” di E. A. Mario ed Edoardo Nicolardi è già un canto della mescolanza, dell'integrazione umana e sentimentale; una canzone capace di raccontare con ‘crudele’ lirismo esiti della guerra durante l'occupazione americana, l’accettazione di un figlio e di un uomo al di là del colore e del disonore. Amore materno, ironia, dolore e minorità politica, economica ma non culturale, come dice Benedetto Croce, tanto che al ‘criaturo niru, niru comm’a che” viene imposto un nome napoletano che di più con si può: Ggiro ovvero Ciro (ca tu 'o chiamme Ciccio o 'Ntuono, ca tu 'o chiamme Peppe o Ggiro chillo 'o fatto è niro niro, niro niro comm'a cche).

Un episodio realmente accaduto nel 1944 ispirò Edoardo Nicolardi che trovandosi nel reparto maternità dell'ospedale di Napoli Loreto Mare, del quale era dirigente amministrativo, vide una giovane che aveva dato alla luce un bambino di colore: l'unica donna in quell'arco di tempo ad avere dato alla luce un neonato di colore, dopo essere rimasta incinta di un soldato afro-americano.
Nicolardi comprese bene che quell’episodio rappresentava una svolta epocale per la società napoletana e non solo.

Ed ecco ora tornare alla cronaca… culturale la grandezza di Pino Daniele, anch’egli come quella ragazza un ‘fatto epocale’, capace di capovolgere il portato egemonico della contaminazione: contaminazione all'incontrario, semmai. Sicché la musica e le canzoni di Pino Daniele potremmo metaforicamente chiamarle: Ggiro, come Ciro vanno chiamate la verità e il coraggio delle proprie idee, la genialità e la padronanza creativa e culturale.
Se Pino Daniele rimarrà per sempre illustre testimone colto e mecenate dell’arte, fautore della ‘corrente linguistica napoletana’, la ragazza di Tammuriata Nera rimane perenne dimostrazione del fatto “che l’ignoranza del leggere e dello scrivere non importa minorità mentale”, ma casomai superiorità.

Un popolo diventa povero e servo quando gli rubano la lingua ricevuta in dote dai padri. Quella non ce la possono rubare, anche se restiamo orfani lo stesso.

Mimmo Mòllica
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LINGUA E DIALETTU
Ignazio Buttitta

Un populu
mittitilu a catina
spughiatilu
attuppatici a vucca
è ancora libiru.

Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavula unni mancia
u lettu unni dormi,
è ancora riccu.

Un populu
diventa poviru e servu
quannu ci arrobbanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri.

Diventa poviru e servu
quannu i paroli non figghianu paroli
e si mancianu tra d’iddi.
Mi n’addugnu ora,
mentri accordu 'a chitarra d'u dialettu
chi perdi 'na corda lu jornu.

Mentre arripezzu
a tila camuluta
ca tisseru i nostri avi
cu lana di pecuri siciliani.

E sugnu poviru:
haiu i dinari
e non li pozzu spènniri;
i giuielli
e non li pozzu rigalari;
u cantu
nta gaggia
cu l’ali tagghiati.

Un poviru
c’addatta nte minni strippi
da matri putativa
chi u chiama figghiu
pi nciuria.

Nuatri l’avevamu a matri,
nni l’arrubbaru;
aveva i minni a funtana di latti
e ci vìppiru tutti,
ora ci sputanu.

Nni ristò a vuci d’idda,
a cadenza,
a nota vascia
du sonu e du lamentu:
chissi no nni ponnu rubari.

Non nni ponnu rubari,
ma ristamu poveri
e orfani u stissu.

Traduzione:

Un popolo
mettetelo in catene
spogliatelo
tappategli la bocca
è ancora libero.

Levategli il lavoro
il passaporto
la tavola dove mangia
il letto dove dorme,
è ancora ricco.

Un popolo
diventa povero e servo
quando gli rubano la lingua
ricevuta in dote dai padri:
è perso per sempre.

Diventa povero e servo
quando le parole non figliano parole
e si sbranano tra di loro.
Me ne accorgo ora,
mentre accordo la chitarra del dialetto
che perde una corda al giorno.

Mentre rappezzo
la tela tarmata
che tesserono i nostri avi
con lana di pecore siciliane.

E sono povero:
ho i denari
e non li posso spendere;
i gioielli
e non li posso regalare;
il canto
nella gabbia
con le ali tagliate

Un povero
che allatta dalle mammelle aride
della madre putativa,
che lo chiama figlio
per scherno.

Noialtri l’avevamo, la madre,
ce la rubarono;
aveva le mammelle a fontana di latte
e ci bevvero tutti,
ora ci sputano.

Ci restò la voce di lei,
la cadenza,
la nota bassa
del suono e del lamento:
queste non ce le possono rubare.

Non ce le possono rubare,
ma restiamo poveri
e orfani lo stesso.

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