1° Maggio: «Festa del Lavoro», la filastrocca di Mimmo Mòllica

1° Maggio Festa del lavoro. La «Filastrocca del Lavoro» di Mimmo Mòllica racconta in versi e strofe questa importante ricorrenza. E noi la proponiamo a grandi e piccini per celebrare la «Festa del Lavoro e dei Lavoratori».  «Filastrocca del lavoro» di Mimmo Mòllica   Caro babbo che cos’è il lavoro? dei bambini domandano in coro a un papà stanco e pure affannato, dal lavoro appena tornato. Ed il babbo risponde a fatica «serve a vivere, è una regola antica». Ed aggiunge: «… ed inoltre, sapete il lavoro è passione, è volontà e decoro». «E che cosa vuol dire decoro?», ribatterono subito loro. «È nell’opera di un falegname, è Van Gogh, è in un vaso di rame». «È Geppetto e il suo pezzo di legno, è Pinocchio, è Collodi e il suo ingegno, è donare qualcosa di noi senza credersi dei supereroi». «È costruire un gran bel grattacielo, è Gesù quando spiega il Vangelo, compiacersi di quello che fai, è dolersene se non ce l’hai!». Però un tipo iniziò a blaterare: «È pagare la gente per non lavorare, s

«Filastrocca del cavolo» di Mimmo Mòllica

La «Filastrocca del cavolo» di Mimmo Mòllica gioca con certi modi di dire di uso comune nel linguaggio quotidiano e popolare. Tra i modi di dire, infatti, il cavolo è piuttosto presente per fare riferimento a qualcosa di negativo, di poco o di nessun valore: non fare un cavolo, non valere un cavolo, starci come i cavoli a merenda.

«Filastrocca del cavolo»
di Mimmo Mòllica

«La Pigrizia andò al mercato
ed un cavolo comprò»:
vuole dire che, svogliato,
a mani vuote ritornò.

E son «cavoli amari», guai in vista,
se c’è poco che va nel verso giusto,
speriamo che un rimedio però esista
per aggiustare e uscire dal trambusto.

«Sono cavoli tuoi», non sono miei,
quando è qualcosa che riguarda te,
è come dire “sono affari miei”,
sono faccende che tengo per me.

«Cavoli miei» è situazione opposta,
il mio è mio e il tuo rimane a te,
«col cavolo» che la terrò nascosta,
«fatti i cavoli tuoi», riguarda me.

«Fatti i cavoli tuoi» è assai palese,
è farsi i fatti propri in un affare,
metterci il naso, poi, non è cortese,
le intromissioni altrui non sono rare.

Poi «non capire un cavolo», un accidente,
vuol dire proprio non capire niente,
mentre «non fare un cavolo» certamente
vuol dire sfaccendato ed indolente.

«Non vale un cavolo» per quanto offenda
è non valere niente, neanche un poco,
ci stava come i «cavoli a merenda»,
ed a sbagliare sarà stato il cuoco.

“Del cavolo” è una cosa che non vale,
son carabattole che non fan rumore,
“un’idea del cavolo” vuol dire ch’è banale,
“non vale un cavolo”,  è di nessun valore.

Tra i modi di dire il cavolo è piuttosto presente, sia perché un tempo considerato un vegetale poco gradito e perciò di scarso valore, sia per una certa assonanza con un termine più volgare, adoperato con frequenza nel linguaggio scurrile popolare.
In ogni caso, il cavolo ricorre spesso nel parlare comune quando si voglia fare riferimento a qualcosa di negativo, di poco o di nessun valore, che non riesce o che sarebbe meglio evitare, lasciar perdere:
farsi i cavoli propri, non fare un cavolo, non valere un cavolo, starci come i cavoli a merenda, andare a ingrassare i cavoli, andare a far terra per i cavoli, andare a piantar cavoli.

07/07/2020

Commenti