OSSERVATORIO
SUL GIORNALISMO
La professione alla prova dell’emergenza Covid-19. Informazione Locale: la Sicilia, la Campania e la Puglia sono terza, quarta e sesta regione per numero di imprese mediali. Tale spiccata differenza può essere spiegata dalla presenza di imprese editoriali meno solide e redazioni meno strutturate, anche in termini di forza lavoro, ovvero da un ampio ricorso a professionisti che non prestano esclusivamente la propria attività nel campo giornalistico.25/11/2020 - L’emergenza COVID-19 ha rappresentato un importante banco di prova per il sistema dell’informazione, posto nuovamente al centro del dibattito pubblico e politico in quanto decisivo snodo per la circolazione di notizie e aggiornamenti di
natura medico-sanitaria (e non solo), strumento di aggregazione delle comunità
locali e, in definitiva, componente fondamentale per la tenuta dei delicati equilibri
su cui si fondano la nostra società e la stessa vita collettiva. La copertura informativa dell’emergenza ha rappresentato però anche una sfida rilevante per lo status
professionale di chi si occupa della produzione di notizie, ovvero i giornalisti, già
alle prese con l’ascesa delle piattaforme online come intermediari dell’informazione e con la circolazione di contenuti di disinformazione.
Gli ultimi venti anni sono stati contraddistinti, in Italia, da un deciso invecchiamento della popolazione giornalistica, con la progressiva scomparsa di under 30 e una
forte riduzione di under 40.
LA CONDIZIONE LAVORATIVA
DEI GIORNALISTI DURANTE
L’EMERGENZA COVID-19
Sebbene i giornalisti non siano stati, almeno in questa fase, particolarmente toccati
sotto il profilo strettamente occupazionale, anche per questa categoria professionale l’emergenza sanitaria ha avuto invece un impatto considerevole sulle modalità di prestazione dell’attività lavorativa.
Operando un confronto con l’insieme dei lavoratori dipendenti e autonomi, si evidenzia difatti come i giornalisti abbiano potuto lavorare da remoto, o scegliere di
lavorare sia da casa sia recandosi sul posto di lavoro, in maniera nettamente più
consistente rispetto a tutti i lavoratori.
La distribuzione geografica dei giornalisti attivi vede come sempre la Lombardia e
il Lazio in prima linea, rispettivamente con il 25% e il 19% del totale: si tratta d’altronde, delle due regioni in cui sono presenti, complessivamente, tre quarti delle
imprese mediali tradizionali (quotidiani, radio, tv) italiane. Quote nettamente inferiori di giornalisti, ma superiori al 5% su scala nazionale, risiedono in Emilia–Romagna, Piemonte, Veneto, Toscana e Campania (unica regione meridionale), mentre
appaiono residuali le quote di giornalisti che risiedono nelle altre regioni.
Dall’Indagine Conoscitiva sull’Informazione Locale è emerso, in particolare,
che la Sicilia, la Campania e la Puglia sono rispettivamente la terza, la quarta e la sesta regione italiana per numero
di imprese mediali (con rispettivamente 315, 259 e 237 imprese radiotelevisive ed editrici di quotidiani, anche online,
presenti sul territorio regionale).
Al Sud
Italia
VI È UNA PRESENZA
MINIMA DI
QUOTIDIANI. IN
CALABRIA NON
C’È NESSUN
QUOTIDIANO
LOCALE
Tale spiccata differenza su scala nazionale può essere spiegata dalla presenza di
imprese editoriali meno solide e redazioni meno strutturate, anche in termini di
forza lavoro, ovvero da un ampio ricorso a professionisti che non prestano esclusivamente la propria attività nel campo giornalistico (e che quindi non sono ricompresi nel novero dei giornalisti attivi) nel Sud Italia. Nella maggior parte delle Regioni meridionali (Abruzzo, Molise, Basilicata, Sardegna), inoltre, vi è una presenza
minima di quotidiani – che sono, tra i mezzi di comunicazione, quelli con maggior
valenza informativa –, considerato che in Basilicata è presente un solo quotidiano
locale, mentre in Calabria tale valore è addirittura pari a zero32.
In sintesi,
da una prima panoramica sullo status della professione giornalistica in Italia, emerge:
• la progressiva e costante riduzione del numero di giornalisti attivi;
• un deciso invecchiamento della popolazione giornalistica, che dimostra l’esistenza di barriere all’ingresso nella professione per i più giovani, la cui quota
percentuale è nettamente diminuita dal 2000 in avanti;
• una significativa differenziazione dei giornalisti attivi tra il Nord e il Sud del
Paese, che, a fronte di un bisogno di informazione, anche a carattere locale,
pari se non più forte rispetto alle Regioni italiane più sviluppate, sconta invece
strutture editoriali meno solide o talvolta inesistenti.
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