Roma, 22/10/2022 - I servizi educativi per la prima infanzia, così come gli altri segmenti del comparto dell’istruzione, dal 2020 hanno risentito dell’impatto della pandemia da Covid-19, che ha comportato periodi di chiusura delle strutture e interruzioni della frequenza da parte di molti bambini. Al 31 dicembre 2020 sono attivi sul territorio nazionale 13.542 servizi per la prima infanzia, quasi 300
in meno rispetto all’anno precedente (-2,1%). I posti complessivi sono 350.670, di cui il 49%
all’interno di strutture pubbliche, con un saldo negativo di circa 10.600 posti (-2,9%).
Tale flessione introduce una discontinuità rispetto ai graduali incrementi degli anni precedenti, ottenuti
anche con il supporto di specifici interventi di rafforzamento. La contrazione dell’offerta ha interessato
più il settore pubblico (-4,8%) rispetto al privato (-1,1%) e sembra collegata, più che alle chiusure
definitive delle strutture, alla temporanea inattività dei servizi per l’anno educativo 2020/2021, per un
totale di oltre 7mila posti (di cui il 71,5% pubblici) autorizzati al funzionamento ma non disponibili.
Il calo ha interessato meno i nidi d’infanzia (-1,4%), componente più tradizionale e principale
dell’offerta (65,8%).
Leggermente più consistente (-2,8%) il decremento per le sezioni primavera, che rappresentano il 19,6% dei servizi complessivi e accolgono bambini dai 24 ai 36 mesi, generalmente all’interno delle scuole d’infanzia. I servizi integrativi per la prima infanzia (spazi gioco, centri per bambini e genitori e servizi educativi in contesto domiciliare), che completano l’offerta con il 14,6% dei servizi disponibili, sono quelli che hanno fatto registrare la riduzione maggiore (-17,2%). Questa situazione si inserisce in un contesto di offerta già fortemente carente, nonostante i diversi piani di intervento varati e gli ingenti stanziamenti approvati, dagli effetti ancora non misurabili.
Ancora molte le disuguaglianze nell’accesso ai serviziFavorire la frequenza del nido da parte di bambini provenienti da famiglie a basso reddito può
spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale e incidere positivamente sulla partecipazione al
mondo del lavoro, riducendo anche il divario di genere. In Italia resta ancora molta strada da fare per
garantire un’equa accessibilità dei servizi dal punto di vista socio-economico: infatti i tassi di
frequenza del nido crescono all’aumentare della fascia di reddito delle famiglie e sono decisamente
più alti se la madre lavora e se i genitori hanno un titolo di studio elevato.
Dal punto di vista della disponibilità dei servizi sul territorio, permangono ampissimi divari a sfavore
delle famiglie residenti nel Mezzogiorno e nei Comuni più piccoli.
Il Nord-est e il Centro Italia, alla fine del 2020, consolidano la copertura dei posti disponibili rispetto ai
bambini sotto i tre anni sopra il target europeo del 33% (rispettivamente 35% e 36,1%); il Nord-ovest
è sotto l’obiettivo ma non è distante (30,8%), mentre le Isole (15,9%) e il Sud (15,2%), che pur
registrano un lieve miglioramento, sono ancora lontani dal target.
A livello regionale i livelli di copertura più alti si registrano in Umbria (44%), seguita da Emilia
Romagna (40,7%) e Valle d’Aosta-Vallée d'Aoste (40,6%), Toscana (37,6%) e Provincia Autonoma di Trento (37,9%). Anche il Lazio e il Friuli-Venezia Giulia dal 2019 hanno superato la soglia del 33% (rispettivamente 35,3% e 34,8%), in coda Campania e Calabria, ancora sotto il 12%.
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