S. Agata Militello (Me), 24/01/2012 – I funerali dello scrittore Vincenzo Consolo, scomparso lo scorso 21 gennaio all’età di 78 a Milano, dove viveva dal 1968, si sono svolti ieri pomeriggio a S. Agata Militello, la sua città natale: “Moderno Ulisse che torna nella sua Itaca. La nostra Itaca d’oggi, la matrigna terra della nostra memoria cancellata, della bellezza o della poesia oltraggiate, delle nostre passioni incenerite”, come egli stesso aveva sempre desiderato fare.
Nella piccola chiesa del Sacro Cuore i familiari dello scrittore ed una folla di amici ed estimatori provenienti da ogni parte dei Nebrodi e della Sicilia, giornalisti, scrittori e intellettuali, si sono stretti attorno alla bara dell’autore de
‘Il Sorriso dell’Ignoto marinaio’, opera con la quale nel 1976 Consolo conobbe il grande successo editoriale.
Nell'omelia di don Enzo Vitanza non sono mancate parole toccanti e riferimenti all’indole più intima e privata dello scrittore santagatese, che “moderno Ulisse” strappato alla sua Itaca forse nemmeno si riteneva, giacché presagiva gli inganni della bussola e le sue inclinazioni, se da essa non riuscì mai ad ottenere le coordinate giuste per potere distaccare definitivamente, senza strazio, i palpiti del suo riottoso cuore.
Una cerimonia semplice ma intensa, in quella chiesa bianca di un passato che può pienamente ricordare gli anatemi della giovinezza e l’impeto di un cuore giovanile al quale non si comanda oggi e non si comandava negli anni seguenti il 1933, anno di nascita dello scrittore Vincenzo Consolo, ancora troppo fresco di scuola, università e luoghi comuni per non dovere desiderare
"un fulgido avvenire (logora frase ormai da un uso antico!)", come direbbe il poeta di Galati Mamertino, Nino Ferraù.
Vincenzo Consolo non era corto di cerimonie e nemmeno di memoria. Il fatto è che da quei Nebrodi che lo avevano reso poliglotta non era mai riuscito a scegliere la sua lingua originale, se il dialetto siciliano o il gallo-italico di San Fratello, che includeva pure le ricette fragranti di quelle
giammellotte e di quei dolci di mandorle e sudore che germogliano sui monti come le stelle alpine, e come le stelle alpine resteranno per sempre in te, come la coscienza, come i tuoi stessi principi, a volte perfino ingombranti e inspiegabili. La lingua...
Il mare di Sant’Agata Militello e quello di Aspra, Porticello e Sant’Elia, che lui racconta ne
Le Pietre di Pantalica, non avrebbe avuto suoni né linguaggio se non ci fossero state le lunghe chiacchierate notturne con il poeta siciliano Ignazio Buttitta: “Angelina e Ignazio, così giovani, così pieni di vita, a ottant’anni passati. (…) Forse è solo un fatto di vitalità, che è necessariamente egoismo. Forse... Ma c’è un punto nella vita in cui bisogna decidere, se staccarsi dagli altri o se precipitare con gli altri. E Ignazio allora proclama che la vita è forte, la vita è eterna, che l’uomo è eterno, che sopravvivrà anche all’atomica”.
“Angelina se ne stette lì in un canto, immobile e muta, con la sua faccia ancora più scura. “Lo vedi?” mi disse. “Qui con loro la mia infanzia, la mia vita di ragazza è stata una festa. Ma le feste non durano, finiscono, si dissolvono, come i sogni…”.
E di quelle gentilissime guerre sul dialetto, in quella casa di fronte al mare di Palermo, dov’erano passati uomini d’ogni razza, da Leonardo Sciascia a Guttuso, da Sebastian Matta a Sergio Endrigo, restano ancora gli esiti.
Lo ha ricordato ieri, nel suo toccante e appassionato
ricordo, il sindaco di Sant’Agata Militello, Bruno Mancuso, amico di Vincenzo Consolo, nel raccontare il legame che teneva lo scrittore avvinto alla sua città, ai suoi luoghi, ai giovani di questa terra, dove tornava ogni volta che poteva, non perdendo mai l’occasione di confrontarsi con gli studenti delle scuole, dove andava spesso a svolgere degli incontri tematici, ogni volta che lo chiamavano.
E spesso chiedeva all’amico sindaco Bruno Mancuso di parlare. Di parlare in dialetto siciliano, santagatese, per ritrovarsi, per ritrovare. Per poter dire le cose vere, le cose veramente saporite: “Perché - diceva Consolo - il dialetto è la lingua per parlare, per capirsi veramente, per dire le cose che si vogliono dire”.
Ma Consolo non aveva la stessa considerazione del dialetto come lingua per scrivere. Come lingua scritta era convinto che il dialetto avvelenasse la letteratura e la facesse scadere al rango delle cose folcloristiche. E questo il poeta dialettale Ignazio Buttitta, le cui poesie sono state tradotte in tutto il mondo, non glielo avrebbe perdonato mai. O forse si?
Mimmo Mòllica
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“La nostra Itaca d’oggi, la matrigna terra della nostra memoria cancellata, della bellezza o della poesia oltraggiate, delle nostre passioni incenerite”.
”Io cerco di salvare le parole per salvare i sentimenti che le parole esprimono, per salvare una certa storia”
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