
Palermo, 26/10/2013 - Lombardo Radice raccontava in un suo scritto, che al suo primo giorno di lavoro come insegnante i genitori dei suoi alunni gli diedero un bastone: era un segno della fiducia che riponevano nella scuola e nell’insegnante. Ti affidiamo i nostri figli per educarli; usa tutti i mezzi che ritieni opportuno. Era questo probabilmente il senso di quella delega. Crediamo che il pedagogista non abbia mai usato quel bastone come “strumento educativo”, ma a ben pensarci nel secolo scorso qualche bacchettata sulle mani a volte i maestri la dispensavano e anche chi scrive ne ha qualche personale ricordo insieme al ricordo di un maestro eccezionale.
Una preside di una scuola di Roccapalumba, paesino del palermitano, alcuni anni fa, chiamata dall’insegnante di una classe per un atto di scorrettezza compiuto da un’alunna che si divertiva a dileggiare un compagnetto, credeva forse che i genitori dei nostri tempi avessero nei confronti della scuola lo stesso atteggiamento fiducioso e collaborativo, di quello che avevano dimostrato d’avere quei genitori che agli inizi del secolo scorso consegnarono un bastone a Lombardo Radice.
La dirigente ritenendo di fare cosa giusta e riparatoria nei confronti dell’alunno mortificato, ha intimato all’alunna di ripetere dieci volte davanti a tutta la classe “io sono una bulla”. I genitori della ragazza informati dell’accaduto, hanno denunciato la preside alla magistratura per abuso dei mezzi di correzione. Il tribunale di Termini Imerese ha condannato la preside a 20 giorni di carcere commutati successivamente in una pena pecuniaria di 700 euro. A noi sembra che relativamente a tale vicenda nessuno abbia tenuto un comportamento adeguato.
L’insegnante della classe avrebbe dovuto (forse lo ha fatto?) rimproverare l’alunna che mortificava il compagno, evitando di dare all’episodio più peso di quello che normalmente devono avere un litigio tra bambini ed un comportamento scorretto in classe; sarebbe stato anche meglio evitare di coinvolgere la dirigente della scuola: il solo minacciare spesso, come alcuni insegnanti fanno, di chiamare il dirigente della scuola a fronte di comportamenti indisciplinati, costituisce di fatto una perdita di autorevolezza agli occhi degli alunni. L’insegnante e la preside avrebbero dovuto comunque avviare la procedura disciplinare prevista ancora oggi per la scuola primaria dal Regio Decreto n. 1927 del 1928 (artt. 412-415) e possibilmente recepita dal regolamento d’istituto, anziché applicare una estemporanea sanzione considerata oggi una violenza psicologica.
I genitori dell’alunna dal canto loro avrebbero fatto bene a non drammatizzare troppo l’accaduto. Si comprende il loro risentimento per la mortificazione subita dalla figlia, ma avrebbero potuto dopo le loro rimostranze nei confronti della dirigente, anche in considerazione che vi era stato un bambino vittima della vivace figliola, chiudere lì la vicenda. Il giudice ha sanzionato la preside applicando la legge: restano però il rammarico e lo sconcerto per il fatto che coloro che operano nella scuola, a volte esasperati da alunni che rispecchiano nei loro comportamenti i vizi ed il peggio della società nella quale viviamo, vengono condannati per vicende che dovrebbero essere considerate di scarsissima rilevanza a fronte di quello che ogni giorno apprendiamo dalle cronache. La preside ha chiesto ed ottenuto dopo tale vicenda di essere collocata in pensione: le auguriamo di poter trascorre giorni sereni lontana da certe piccinerie. Dimenticavamo: dalla stampa apprendiamo che la famiglia della bambina riceverà da parte della preside un risarcimento di 7.500 euro. I soldi saneranno il vulnus educativo? Una storia amara e per nulla edificante da dimenticare!
Giovan Battista Puglisi
Direttore Editoriale della “Letterina” ASASI
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