Ponte sullo Stretto: “LiberiAmo Messina dal Ponte di Matteo Verdini"

“LiberiAmo Messina dal Ponte di Matteo Verdini”. Con questo slogan il leader di Sud chiama Nord Cateno De Luca dà appuntamento giovedì 25 aprile a Messina dalle 17,30 in poi a Torre Faro nei pressi del Pilone, al locale La Pinnazza.   Messina,  23/04/2024 - Presente il sindaco di Messina Federico Basile il cui intervento insieme a quello del leader di Sud chiama Nord, Cateno De Luca, è previsto alle 19:00. “Siamo contrari al ponte di Matteo Verdini che dovrebbe essere realizzato con una rapina del Fondo Sviluppo e Coesione che appartiene alla Sicilia -afferma De Luca-. È impensabile che due miliardi di euro che servono per gli invasi, che servono per le strade, per le scuole, per i depuratori vengano scippati alla Sicilia per il ponte sullo Stretto di Messina. Noi siamo per il corridoio Berlino-Palermo che prevede l'alta velocità da Salerno fino a Villa San Giovanni, la sostituzione della monorotaia dei Borboni in Sicilia, il potenziamento del Porto di Gioia Tauro e di Augusta e c

SUD ALLA DERIVA E SEMPRE PIU' ARRETRATO: CROLLATI I CONSUMI, SIAMO POVERI IN CANNA

Un Paese diviso e diseguale, dove il Sud scivola sempre più nell’arretramento: nel 2014 per il settimo anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno è ancora negativo (-1,3%); il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di 15 anni fa; n
egli anni di crisi 2008-2014 i consumi delle famiglie meridionali sono crollati quasi del 13% e gli investimenti nell’industria in senso stretto addirittura del 59%; nel 2014 quasi il 62% dei meridionali guadagna meno di 12mila euro annui, contro il 28,5% del Centro-Nord. Questa la fotografia che emerge dalle anticipazioni del Rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno 2015 presentate il 30 luglio 2015 a Roma


31/07/2015 - Se nel complesso l’economia italiana sta uscendo, pur con lentezza, dalla crisi più lunga del dopoguerra, il Mezzogiorno ancora non vede segni significativi di ripresa. Secondo valutazioni di preconsuntivo elaborate dalla SVIMEZ, nel 2014 il Prodotto interno lordo (a prezzi concatenati) è calato nel Mezzogiorno del -1,3%, rallentando la caduta già registrata l’anno precedente (-2,7%). Il calo è stato superiore di oltre un punto a quello rilevato nel resto del Paese (-0,2%) (Tab. 3). Non avendo inoltre beneficiato della ripresa europea registrata anche al Centro-Nord nel biennio 2010-2011, l‘economia delle regioni meridionali ha quindi affrontato il settimo anno di crisi ininterrotta: dal 2007 il prodotto in quest’area si è ridotto del -13,0%, quasi il doppio della flessione registrata nel Centro-Nord (-7,4%). Le regioni del Sud hanno risentito non solo dello stimolo relativamente inferiore rispetto al resto del Paese della domanda estera, ma anche della riduzione della domanda interna, associata anche al calo della loro competitività sul mercato nazionale, che ha riguardato sia la spesa per consumi, la cui flessione è attribuibile, per parte importante, al calo dei consumi pubblici, sia la spesa per investimenti, che si è ridotta ulteriormente più che nel resto del Paese.

La crisi ha colpito maggiormente le aree più deboli. Questo è vero in tutta l’Area dell’Euro
(si veda il par. 9). Ma in Italia l’ampiezza di tale gap di crescita risulta impressionante: quasi 6
punti percentuali in termini di crescita in 7 anni, quasi 8 punti in termini di occupazione.
La crisi lascia quindi un Paese ancor più diviso del passato e sempre più diseguale. La
flessione dell’attività produttiva è stata molto più profonda ed estesa nel Mezzogiorno che nel resto
del Paese, con effetti negativi che appaiono non più solo transitori ma strutturali, e che spiegano il
maggior permanere delle difficoltà di crescita e la minore capacità di queste aree di agganciarsi alla
ripresa internazionale. La crisi ha depauperato le risorse del Mezzogiorno e il suo potenziale
produttivo: la forte riduzione degli investimenti ha diminuito la sua capacità industriale, che, non
venendo rinnovata, ha perso ulteriormente in competitività; le migrazioni, specie di capitale umano
formato, e i minori flussi in entrata nel mercato del lavoro hanno contemperato il calo di posti di
lavoro. Non sarà facile disancorare il Mezzogiorno da questa spirale di bassa produttività, bassa
crescita, e quindi minore benessere. I dati segnalano come la capacità delle regioni meridionali di
rimanere, dal dopoguerra, comunque agganciate allo sviluppo del resto del Paese, sia ora sempre
minore.

Anche le altre circoscrizioni del Paese hanno mostrato comportamenti difformi: nel 2014
solo il Nord-Est ha presentato un tasso di crescita positivo (0,4%), favorito dalla domanda estera,
mentre il prodotto è diminuito al Centro (-0,3%) e in misura maggiore nel Nord-Ovest (-0,5%),
comunque sempre meno della metà della flessione registrata nel Mezzogiorno (-1,3%) (Tab. 3).
Questi divari sono in parte mitigati dagli andamenti demografici, che tendono a ridurre la
popolazione nel Mezzogiorno. Se misuriamo tale gap in termini di prodotto pro capite, pur in
presenza di tale calo della popolazione, la distanza del Mezzogiorno dal resto dell’Italia ha ripreso
ad allargarsi: nel 2014 è tornata ai livelli di inizio secolo (Tab. 4).

Nel Mezzogiorno, alle difficoltà di competitività attribuibili ai problemi strutturali dell’area,
in particolare in termini di dimensione e composizione settoriale, si è sommata la debolezza ciclica,
che si è riflessa in una minore resilienza dell’apparato produttivo, specie di quello industriale. I dati
sono impietosi: il comparto dell’industria manifatturiera del Mezzogiorno, già poco presente
nell’economia del Sud e reduce da un decennio di difficoltà dovute al maggiore impatto della
globalizzazione sulle proprie produzioni, si è contratto cumulativamente nel periodo della crisi di
oltre un terzo in termini di prodotto (-33,1%), quasi tre volte la caduta registrata nel resto del Paese
(-14,4%), Per comparazione, la flessione cumulata del comparto nello stesso periodo in Europa è
stata del-3,2%, nell’Area dell’Euro del -3,3%. Ne è conseguita una contrazione del settore, che non
è stato il tradizionale “haircut” nelle fasi negative del ciclo che espelle dal mercato le imprese
inefficienti e lascia spazio a quelle più efficienti e produttive, ma una erosione profonda della base
produttiva, che ha espulso dal mercato anche imprese sane ma non attrezzate a superare una crisi
cosi lunga e impegnativa. Ne risulta che è difficile a questo punto valutare se l’industria rimasta sia
in condizioni di ricollegarsi alla ripresa nazionale e internazionale: il rischio è che il
depauperamento di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire al Mezzogiorno
di agganciare la possibile nuova crescita e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo
permanente.

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