Capizzi, studente modello di 16 anni ucciso in piazza da un ventenne armato di pistola

Uno studente di 16 anni,  Giuseppe Di Dio, è stato ucciso sabato 1° novembre a Capizzi, piccolo comune dei Nebrodi in provincia di Messina, mentre un suo amico è rimasto ferito nella sparatoria. Fermate tre persone.  Giuseppe Di Dio frequentava la terza classe  dell'istituto alberghiero di Troina (Enna) e sarebbe stato attinto per errore dai colpi mortali esplosi da  Giacomo Frasconà Filaro , il 20.enne presunto assassino . 3 nov 2025 - Giuseppe Di Dio, 16 anni, e i suoi amici si trovavano  davanti a un bar di via Roma, a Capizzi, quando da un'automobile sarebbero scese tre persone, una delle quali avrebbe esploso i colpi di arma da fuoco che hanno attinto mortalmente il sedicenne, ferendo un altro giovane di 22 anni.  Si tratta di  Antonio Frasconà Filaro , 48 anni, e dei figli Mario, 18 anni, e Giacomo, 20 anni. Quest'ultimo, armato di pistola avrebbe fatto fuoco sulle persone presenti all'esterno del  bar di via Roma, a Capizzi, uccidendo ...

Femminicidi. Responsabilità di tutte e tutti per scardinare un sistema culturale

Femminicidi. Coordinamento 21luglio Palermo: “Chiediamo l'assunzione di responsabilità di tutte e tutti per scardinare un sistema culturale che alimenta la violenza contro le donne”


Palermo, 30/01/2021 - Una donna ogni tre giorni viene uccisa per mano di un uomo che conosce. Viene uccisa per le sue scelte di libertà. Le donne sono in pericolo in una relazione violenta e un momento potenzialmente rischioso è quello in cui decidono di interromperla.
Ancora oggi sfogliando i giornali si possono leggere affermazioni come queste, legate anche agli ultimi femminicidi di Caccamo (Pa) e Carmagnola (To). La violenza contro le donne attraversa l'Italia, letteralmente: “Secondo una prima ipotesi lui non avrebbe accettato la possibilità di una separazione”; “ancora una tragedia”; “uccise per delirio di gelosia”; “omicidio, il movente: raptus di gelosia” ;“dramma familiare: uccide moglie e figlia e poi tenta il suicidio”.

Negli ultimi anni molto è cambiato nel modo in cui raccontiamo la violenza quando accade. E' il lavoro dei centri antiviolenza, di attiviste e attivisti, di giornaliste e giornalisti impegnati, ma alcuni giornali ancora troppo spesso liquidano i femminicidi come un affare di famiglia, un atto di follia, un imprevisto (o al contrario qualcosa di prevedibile) in uno schema predefinito.
La gelosia, il troppo amore o il dolore per la fine di una relazione non costituiscono il movente del reato di omicidio. Il movente nei casi di femminicidio è la violenza maschile contro le donne, la più estrema.

Ancora di più ciò che ci indigna è la morbosa determinazione da parte di alcuni giornalisti/e a scavare nella vita delle vittime, a dettagliare con foto e dichiarazioni di vicini e familiari le ultime ore di vita di donne che non potranno mai dare la propria versione dei fatti.
Orientare l'opinione pubblica sul tema della violenza contro le donne è una inevitabile responsabilità dei media. Un femminicidio non può essere giustificato da un raptus di gelosia o dal troppo dolore per la fine di una relazione. Questo tipo di narrazione mette in atto un comportamento di vittimizzazione secondaria. La donna viene ritenuta responsabile della violenza che subisce. Il gesto viene 'giustificato' dal/dalla cronista e appare, quindi, socialmente 'accettato e accettabile'.

Dopo il Manifesto di Venezia, anche l'articolo 5 bis al Testo Unico dei doveri del giornalista dal 1° gennaio 2021 raccomanda di prestare attenzione ad evitare espressioni e immagini lesive della dignità della persona; di adottare un linguaggio rispettoso corretto e consapevole; di attenersi all’essenzialità della notizia evitando la spettacolarizzazione della violenza; di non usare termini e immagini che sminuiscano la gravità del fatto commesso o lo giustifichino.

Ognuno di noi può fare qualcosa.

Proponiamo incontri e confronti con giornalisti/e, redattori, titolisti al fine di una narrazione della violenza di genere che sia rispettosa delle vittime e che tracci un cambiamento culturale.
Chiediamo l'assunzione di responsabilità di tutte e tutti per scardinare il sistema culturale che ancora permette agli uomini di agire potere e possesso sulle donne.

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