E se Dante fosse (stato) calabrese?
Il comico Rocco Barbaro rilegge il canto di Ulisse (dall’Inferno dantesco) con l’idioma
reggino. Divertente o sorprendente?
Diamo i numeri? Nel 1307 Dante (Alighieri), migrante in Padania e dintorni (in Calabria
non ci arrivò mai, ma mica c’erano le frecce), inizia la stesura della Divina Commedia
(anzi: della Comedìa, perché quel “divina” gliel’appioppò il Boccaccio più tardi).
520 anni più tardi, Alessandro (Manzoni) non soddisfatto della piegalingua presa dai
suoi promessi coniugi va a “sciacquare i panni in Arno”.
21.04.2021 - E’ infatti convinto che la lingua
di Dante sia quella a cui l'italiano per essere italiano deve rifarsi. Bella mossa? Be’,
nessuno dice il contrario, ma il fatto è che così accadendo tutte le altre “lingue”
diventano periferiche, e il calabrese retrocede a lingua più periferica della periferia.
Eppure tra cantica e tarantella la distanza non è poi così inazzerabile. A metà del
Novecento il sacerdote-poeta Giuseppe Blasi (calabrese di nascita, siciliano di
formazione) decide di compiere un’opera titanica: la traduzione di tutti i canti della
Divina Commedia in dialetto calabrese. “Prima di morire - scriveva - vorrei che i giovani
calabresi, istruiti o meno, avessero la possibilità di accostarsi alla mia versione della
Commedia. Diversamente sarebbe il caso che il mio dattiloscritto finisse nel laboratorio
artigianale di un buon pirotecnico”.
In realtà, curata da Umberto Di Stilo, la Divina
Commedia nel dialetto calabrese di Laureana di Borrello (Reggio Calabria) di don Blasi
viene pubblicata dieci anni fa. A tiratura e diffusione limitatissima, ben lontana dal botto
a cui accennava il suo autore.
E dunque? Arriviamo ai giorni nostri, al 700° anniversario della morte di Dante. Per
ricordarlo si è ispirata al sommo poeta persino una nota marca di gelato che ha creato
tre ricoperti al gusto inferno, purgatorio e paradiso. Roba refrigerata dell’altro mondo.
Ma nel nostro, in questo mondo, a rileggere Dante a modo suo - in modo esilarante e
affatto gratuito - ci ha pensato il comico del faccioquellochevoglio: Rocco Barbaro.
La sua interpretazione del canto XXVI dell’Inferno - le terzine sono quelle con la voce
declamante di Ulisse - è un’opera d’arte nell’arte.
Altro che panni a mollo nell’Arno. Rocco Barbaro ha sciacquato la Commedia nel
Calopinace. E ci piace.
Commenti
Posta un commento
NEBRODI E DINTORNI © Le cose e i fatti visti dai Nebrodi, oltre i Nebrodi. Blog, testata giornalistica registrata al tribunale il 12/3/1992.
La redazione si riserva il diritto di rivedere o bloccare completamente i commenti sul blog. I commenti pubblicati non riflettono le opinioni della testata ma solo le opinioni di chi ha scritto il commento.