Scorie nucleari: anche a Trapani il NO assoluto al deposito nazionale di rifiuti radioattivi

Manifestazione NO deposito scorie. Ciminnisi (M5S): "Auspichiamo presa di posizione di maggioranza e Governo di centrodestra".  La deputata ARS Cinqustelle Cristina Ciminnisi presente, unitamente alla coordinatrice Territoriale del M5S Francesca Trapani, alla manifestazione contro le scorie nucleari avvenuta a Trapani. Trapani, 2 maggio 2024  – "Come abbiamo già fatto a Segesta, anche a Trapani, oggi abbiamo manifestato il nostro NO assoluto al deposito nazionale di rifiuti radioattivi nei nostri territori. Come MoVimento 5 Stelle Sicilia, lavoreremo perché l’ARS approvi la mozione affinché Trapani e Calatafimi non diventino la pattumiera d’Italia. Ci preoccupa il fatto che non abbiamo ancora ascoltato un NO altrettanto deciso da parte della maggioranza di centrodestra, né da parte del Governo Regionale. Al contrario, sembrano giungere da autorevoli rappresentanti del territorio preoccupanti voci di 'disponibilità a valutare' le 'opportunità economiche'.

«Filastrocca delle parole per ferire» di Mimmo Mòllica

La «Filastrocca delle parole per ferire» di Mimmo Mòllica è particolarmente incentrata su quelle che il prof. Tullio De Mauro censisce come “le parole dell’odio” circolanti in Italia. Parole dell’intolleranza il cui catalogo “può essere forse istruttivo ma a tratti è ripugnante”. Proprio così, «ripugnante». Ma bisogna mettere i piedi nel fango, a volte, per aiutare ad uscirne.

«Filastrocca delle parole per ferire»

Uno «zulo» o uno «zulù»
è un uomo e niente più,
e il suo nome significa preciso
«gente del cielo», cioè del paradiso.

Per alcuni dire «zulù» però è un’offesa,
come dire befana alla marchesa,
ci son parole dette per ferire
parole che dovrebbero abolire.

Così baluba per dire incivile
oppure servo per dire servile,
barbaro che non è molto gentile,
zingaro, mammalucco,
ebreo, guascone o crucco.

Mongolo, negro, beduino, polentone
maumau, meridionale o anche terrone,
burino, cavadenti, sei un facchino,
cerebroleso, zoppo, sei un cretino.

Beccamorto, cafone, bottegaio,
cecato, nano, storpio, pecoraio,
omuncolo, sciacallo o anche scartina,
cozza, cretino, tonto, e poi cretina.

E ancora, deficiente, ritardato,
balordo, babbaleo, handicappato,
nullatenente, ebete, puerile,
verme, schifoso, porco ed incivile.

Scemo, testone, stupido, sei un fesso,
gobbo, imbecille, scorfano, sei un cesso,
deficiente, umanoide, finocchio,
somaro, asino, racchia o anche pidocchio.

Sono solo «parole per ferire»,
parole che dovrebbero finire,
parole di cui si può fare a meno,
«parole d’odio» da tenere a freno,
ma è l’odio che non riesce a farne a meno.

Mimmo Mòllica ©

Se l’odio non sa fare a meno delle parole

In «Le parole per ferire» il linguista Tullio De Mauro descrive le iniziative per contrastare in maniera sistematica “manifestazioni di intolleranza, xenofobia, razzismo e incitamento all’odio, a cui la rete permette di avere ampia risonanza”. De Mauro cita, in particolare il Consiglio d’Europa per avere “concentrato la sua attenzione sui discorsi e le parole dell’odio (hate speech e hate words). De Mauro censisce “le parole dell’odio circolanti in Italia: anche nell’odio le parole non sono tutto, ma anche l’odio non sa fare a meno delle parole”.
“Di queste parole dell’odio e dell’intolleranza - afferma il prof. De Mauro - il catalogo può essere forse istruttivo ma a tratti è ripugnante”. Proprio così, «ripugnante».
Ma “bisogna entrare nel fango, a volte, per aiutare gli altri a uscirne”, scrive Gianrico Carofiglio.
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Illustrazione di Prawny da Pixabay

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