I SERVIZI EDUCATIVI PER L’INFANZIA, RIPRESA E SVILUPPI DOPO LA PANDEMIA. Si è svolto questa mattina l’evento online “I servizi educativi per l’infanzia, ripresa e sviluppi dopo la pandemia” frutto della collaborazione fra il Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’Istat e l’Università Ca’ Foscari.Roma, 7 luglio 2021 - Al webinar, coordinato dal capo del Dipartimento per le politiche della famiglia Ilaria Antonini, hanno partecipato il Presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, Tiziana Lippiello, Rettrice dell’Università Ca’ Foscari Venezia, rappresentanti dell’Università Ca’ Foscari e ricercatori dell’Istat. L’incontro ha avuto come oggetto la presentazione dei risultati di due indagini:
- l’Indagine annuale dell’Istat sui comuni italiani, volta a monitorare nel tempo l’evoluzione
dei servizi all’infanzia, relativamente ai dati dell’anno educativo 2019-2020;
- l’Indagine campionaria suppletiva realizzata da aprile 2021, fortemente voluta dal
Dipartimento per le politiche della famiglia all’interno del rapporto di collaborazione con
Università Ca’ Foscari e Istat, per disporre di informazioni tempestive sulle difficoltà
incontrate dai servizi all’infanzia in relazione alla pandemia.
Prima dell’esplosione della crisi, la fotografia dell’offerta pubblica e privata dei servizi educativi
emersa dalla rilevazione Istat sui nidi e i servizi integrativi per la prima infanzia delinea al 31
dicembre 2019 la presenza di 13.834 servizi educativi attivi sul territorio nazionale, il 65% dei quali
nel settore privato e il restante 35% nel settore pubblico, ovvero a titolarità comunale.
I posti autorizzati al funzionamento sono 361.318 (circa la metà nel settore pubblico). I posti
disponibili nei servizi per la prima infanzia raggiungono il 26,9% del potenziale bacino di utenza
(bambini residenti al di sotto dei 3 anni di età).
Nonostante un incremento dell’1,5%, rispetto all’anno educativo 2018/2019, a livello nazionale, i
posti censiti sono ancora al di sotto dell’obiettivo fissato dal Consiglio europeo di Barcellona nel
2002: un posto per almeno il 33% dei bambini entro il 2010.
Permangono ancora ampi divari territoriali. Al Sud i posti disponibili nei nidi e nei servizi integrativi
pubblici e privati coprono il 14,5% del bacino di utenza potenziale (15,7% nelle Isole), contro il
35,3% al Centro, il 34,5% nel Nord-est e il 31,4% nel Nord-ovest. Tuttavia è proprio nel
Mezzogiorno che si registra l’incremento di posti più significativo: +6,3% (+5% al Sud e +1% nelle
Isole).
Questo dato conferma l’efficacia delle misure statali adottate a sostegno dello sviluppo del sistema
socio-educativo per la prima infanzia incluso, già dal 2012, tra i settori prioritari di intervento dei
PAC, Piani d’Azione per la Coesione (Ministero per lo Sviluppo e la Coesione d’intesa con la
Commissione europea) per ridurre il divario nelle quattro regioni comprese nell'obiettivo europeo
“Convergenza”: Puglia, Campania, Sicilia, Calabria.
Il Piano di azione nazionale per il Sistema integrato di educazione e istruzione da 0 a 6 anni
(conseguente al D. lgs. 65/2017) ha stanziato ulteriori risorse a sostegno di interventi
infrastrutturali e delle spese per la gestione e la formazione del personale, destinate in misura
maggiore a sette regioni individuate sulla base di criteri di perequazione: Abruzzo, Molise,
Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia.
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Al 31 dicembre 2019 i bambini iscritti nei servizi educativi comunali o finanziati dai Comuni sono il
14,7% dei residenti sotto i 3 anni (si va dal 3,1% della Calabria al 30,4% della Provincia Autonoma
di Trento).
Nel corso del 2020, con le chiusure temporanee dei servizi dovute alla pandemia sono diminuiti i
beneficiari del “bonus Nido” (272 mila, 289 mila nel 2019) e il numero di mensilità erogate (spesa
complessiva pari a 197 milioni di euro, 44 milioni in meno dell’anno precedente), contro un
aumento dell’importo medio per mensilità grazie all’aumento fino a 3 mila euro del contributo
erogabile annuo.
L’Indagine campionaria realizzata con l’Università Ca’ Foscari nei mesi di aprile-maggio 2021 su
1.418 servizi (1.036 asili nido e 382 sezioni primavera), sia pubblici che privati, rileva che a fronte
di un aumento sia dei costi di gestione (93,2% dei casi) sia dei costi straordinari (95%), poco più
del 50% delle strutture hanno ricevuto contributi straordinari mentre circa il 59% ha attivato
ammortizzatori sociali come la Cassa Integrazione o il FIS (Fondo d'Integrazione Salariale).
Nel 50% delle strutture si è verificato almeno un caso Covid (fra bambini oppure operatori), il
27,5% ha disposto la chiusura di una sola sezione e meno del 12% la chiusura totale del servizio, il
restante 10% presumibilmente ha interrotto la frequenza solo per le “bolle” (piccoli gruppi di
bambini) garantendo la continuità del servizio.
La riapertura ha richiesto interventi di riadattamento organizzativo (rimodulazione degli spazi
disponibili 88%; formazione degli educatori 87%; orari scaglionati di entrata e uscita 75%;
attivazione di canali straordinari di contatto con le famiglie 68%).
Soltanto il 2,2% dei gestori ha annullato il servizio mensa, l’8,5% ha ridotto il numero di sezioni, il
26% ha ridotto l’orario di apertura.
Poco meno del 30% delle strutture ha ridotto il numero di bambini accolti, e nella stessa quota ha
rivisto le rette per le famiglie.
Le strutture hanno quindi dimostrato una buona capacità di adattamento alla situazione
straordinaria, mentre criticità contenute sono segnalate alla riapertura, soprattutto relative allo
stress nel gestire la situazione da parte di operatori e genitori.
Il 39% delle strutture ha riscontrato una riduzione della domanda di iscrizioni per l’anno educativo
2020/2021 rispetto al precedente.
Al momento della rilevazione, il 70% delle strutture non ha bambini in lista d’attesa e il tasso di
occupazione dei posti autorizzati (rapporto tra numero di iscritti e posti autorizzati) è mediamente
dell’80%, indicando che molti servizi hanno posti vuoti e non hanno domande da soddisfare (le
cause sono attribuibili alla contrazione dei redditi delle famiglie, alla perdita del lavoro e al timore
dei genitori di utilizzare un servizio collettivo).
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