
Piraino, 27/07/2010 – Ora Ignazio Murasia, 29 anni, non avrà più davanti a sé i fantasmi che lo rendevano inquieto, che arrivavano improvvisamente, in certe giornate, a scuotere la sua gioventù di provincia, a incattivire le onde di quel mare troppo bello per dimenticare di averlo là, quasi di fronte casa: la spiaggia dove i più fortunati vanno a correre, nei pomeriggi di scuola, quando la vita è più adatta per essere diligenti. Ignazio ha spento l’abat-jour dell’esistenza, mettendo fine alla sua ultima giornata, per sempre. I funerali si sono svolti stamattina alle 10 a Piraino, il suo paese, tra il dolore degli amici e lo strazio dei familiari.
Ora Ignazio non dovrà più lottare contro le forze giovani della sua inquietudine; quando l’uomo in erba lascia gli amici e torna ad una solitudine ancora troppo precoce per farsi amica, per apparire come una cara opportunità.
A Ignazio la solitudine faceva paura, sembrava l’anticamera di un futuro troppo incerto e misterioso per apparirgli desiderabile o, peggio ancora, sopportabile.
Ora Ignazio non dovrà più scegliere la macchina più adatta a lui, né dovrà partire per ‘militare’ per essere certo che il desiderio dell’uomo non è mai la guerra.
Forse per questa indecifrata ribellione, Ignazio, la guerra a volte la sentiva dentro, come una sedizione verso un mondo che non ci accontenta, verso una società che con eccessiva disinvoltura e troppo spesso decide in proprio a quale guerra farci appartenere, per quale battaglia fare il tifo, per quale stupidità propendere.
E la guerra (pure quella interiore) non ha mai smesso di fare le sue vittime, perfino negli scenari di pace: Ignazio ne è forse l’esempio più vicino a noi.
La guerra che Ignazio intendeva fare alla guerra, la sua consapevolezza di non volerla, di non poterla accettare neppure come una malattia, lo rendeva inquieto, reattivo, desideroso di correre verso una direzione che però non esiste, verso una via d’uscita che quando ti sembra di averla raggiunta si dissolve, scompare malignamente dalla tua vista.
E’ questo che rende ciechi gli uomini, e a volte li fa dannare. Una dannazione che è dolore e cecità, un rovello che è fuori di noi, eppure ci uccide. Un tormento che avrebbe bisogno di uno spiraglio, seppure malagevole, seppure disperatamente ostico, ma visibile. Se non altro visibile.
E Ignazio quello spiraglio non riusciva più a vederlo. Maledizione!
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