1° Maggio: «Festa del Lavoro», la filastrocca di Mimmo Mòllica

1° Maggio Festa del lavoro. La «Filastrocca del Lavoro» di Mimmo Mòllica racconta in versi e strofe questa importante ricorrenza. E noi la proponiamo a grandi e piccini per celebrare la «Festa del Lavoro e dei Lavoratori».  «Filastrocca del lavoro» di Mimmo Mòllica   Caro babbo che cos’è il lavoro? dei bambini domandano in coro a un papà stanco e pure affannato, dal lavoro appena tornato. Ed il babbo risponde a fatica «serve a vivere, è una regola antica». Ed aggiunge: «… ed inoltre, sapete il lavoro è passione, è volontà e decoro». «E che cosa vuol dire decoro?», ribatterono subito loro. «È nell’opera di un falegname, è Van Gogh, è in un vaso di rame». «È Geppetto e il suo pezzo di legno, è Pinocchio, è Collodi e il suo ingegno, è donare qualcosa di noi senza credersi dei supereroi». «È costruire un gran bel grattacielo, è Gesù quando spiega il Vangelo, compiacersi di quello che fai, è dolersene se non ce l’hai!». Però un tipo iniziò a blaterare: «È pagare la gente per non lavorare, s

VINCENZO CONSOLO: L’ELOGIO DEL SINDACO DI S. AGATA MILITELLO, BRUNO MANCUSO, NEL GIORNO DEL COMMIATO

ADDIO VINCENZO CONSOLO, MODERNO ULISSE BILINGUE: UNA SCRITTA E L’ALTRA PARLATA

Pubblichiamo l’elogio funebre pronunciato il 23 gennaio scorso, dal sindaco di Sant’Agata Militello, Bruno Mancuso, medico ed amico personale dello scrittore Vincenzo Consolo, nel giorno dei suoi funerali. Vincenzo Consolo è nato a Sant’Agata Militello, in provincia di Messina, nel 1933 ed ha vissuto a Milano a partire dal 1968, quando fu assunto alla Rai. Nel 1976 Consolo ha conosciuto il successo internazionale col romanzo Il 'Sorriso dell’Ignoto marinaio'.
E’ morto a Milano il 21 gennaio scorso, all’età di 78 anni, dopo una lunga malattia. Ora riposa nella cappella di famiglia a Sant’Agata Militello, dove ha desiderato tornare
S. Agata Militello (Me), 23/01/2012 - (di Bruno Mancuso*) - Enzo ci sta lasciando così come avrebbe voluto, nella Sua Sant'Agata, dove è nato 78 anni fa, circondato dagli affetti più cari: parenti, amici e concittadini; nella stessa piccola Chiesa dove poco tempo fa sono stati celebrati i funerali del suo amato nipote Rino, con la stessa semplicità che ha contraddistinto il suo percorso di vita.

S.Agata è in lutto e il cordoglio dei Santagatesi è vivo, convinto e palpabile.
S.Agata si stringe attorno alla moglie sig.ra Caterina e alla famiglia ai quali vanno, oltre le condoglianze, anche i ringraziamenti per la scelta di tumulare in questa città le spoglie del congiunto. Questa decisione ci riempie di orgoglio e ci consente di tenere accostato per sempre il nome del più illustre dei nostri cittadini a quello della nostra città.
S.Agata è stata finora, ma lo sarà ancora di più da ora in poi, il paese di Vincenzo Consolo. S.Agata e la Sicilia subiranno irrimediabilmente il vuoto che Enzo Consolo lascerà. Non ci mancherà la presenza dello scrittore, del narratore, del letterato. Le sue opere faranno parte del patrimonio letterario dell’umanità, della Storia contemporanea della Letteratura Italiana, elemento indelebile che si contrappone drasticamente al principio della caducità delle cose viventi e alla ineluttabilità della morte.

Ci mancherà piuttosto la sua figura, il suo essere siciliano, compresi le ansie e i contrasti interiori che hanno caratterizzato questo suo sentimento. Enzo faceva sentire costantemente la sua presenza in Sicilia e nel suo paese natìo.

Per noi era un riferimento, e non mancava mai di rispondere agli inviti che provenivano dalle Istituzioni, dall’Amministrazione comunale, dagli Istituti scolastici, dalle numerose Associazioni culturali presenti. Era sempre disponibile e felice di confrontarsi, di raccontarsi, con il suo modo semplice di porgersi, acuto e senza mai salire in cattedra, di dialogare soprattutto con i giovani a cui piaceva trasferire le sue esperienze di vita e che invitava costantemente ad indignarsi e a ribellarsi nei confronti di un “sistema”, di un modo di vivere improprio e tutto siciliano di affrontare le questioni che riguardassero non solo l’aspetto culturale ma più propriamente la società civile, la politica e le Istituzioni, inquinate dalla cappa asfissiante della corruzione e del malaffare.
Ha vissuto sin da giovane questo contrasto interiore che ha caratterizzato il suo moto dell’animo, che qualcuno ha definito di “amore e odio” verso la sua terra. Io non mi trovo d’accordo, solo di amore si tratta, e a questo proposito vorrei leggere quelle righe che Vincenzo ha scritto nelle “Pietre di Pantalica” a proposito della sua terra:

«Io non so che voglia sia questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di percorrere ogni lato, ogni capo della costa, inoltrarmi all'interno, sostare in città e paesi, in villaggi e luoghi sperduti, rivedere vecchie persone, conoscerne nuove. Una voglia, una smania che non mi lascia star fermo in un posto. Non so. Ma sospetto sia questo una sorta di addio, un volerla vedere e toccare prima che uno dei due sparisca.»
Da queste righe si manifesta il profondo amore che Vincenzo aveva verso la sua terra, ma anche l’amarezza, non odio, perché una terra così bella, splendida, misteriosa e affascinante non riesca a liberarsi dal potere mafioso, perché il suo candore venga quotidianamente macchiato dalla corruzione e una terra così ricca debba essere continuamente impoverita da un potere bieco e compromesso.

Questo suo “male di vivere” covava sin dai tempi della profonda amicizia che lo ha legato a due importanti esponenti siciliani della Letteratura, lo scrittore Leonardo Sciascia e il poeta Lucio Piccolo. Affascinato dal mondo visionario e fantasioso del poeta, riconosce in Sciascia il suo “maestro spirituale” con cui condivide importanti esperienze umane e culturali e da cui raccoglie il consiglio di andare via dalla Sicilia, in quella Milano che lo ha accolto e dove ha trovato ispirazioni ed energie per dare sfogo alla sua straordinaria vitalità intellettuale.
La sua inquietudine lo portava però frequentemente nella sua terra, che sognava potesse un giorno rinascere e riscattarsi. Prima della Sicilia, come normale che fosse, se n’è andato lui, con questa spina nel cuore, con la delusione e forse con la consapevolezza che quello che per una vita ha sognato non si avvererà mai.

Ricorderemo Vincenzo Consolo come uno di noi, persona tanto semplice e umile nell’aspetto e nei rapporti umani, quanto complesso e raffinato nei suoi scritti, che rappresenteranno in eterno una scuola personale, inventiva, atipica, sperimentale, fuori dagli schemi, unica nel suo genere, fuori dal coro, così come lui soleva essere.
Era sostenitore della bellezza della lingua italiana e considerava il dialetto una lingua che avvelenava la letteratura facendola regredire a folklore. Il dialetto serve per parlare e per capirsi, mi diceva, non per scrivere. E spesso gli piaceva intrattenersi su personaggi e storielle paesane che gli ricordavano la sua giovinezza trascorsa a S.Agata. Mi raccontava della mia famiglia, della “zia Titina” di cui era amico, di aneddoti conditi di colore e di ironia, in stretto dialetto siciliano, naturalmente.

Abbiamo perso un uomo, un amico della nostra terra, uno strenuo difensore dei principi di giustizia sociale e legalità, un integerrimo sostenitore di valori morali e grondante di tensione etica.
Abbiamo perso un altissimo riferimento sociale e culturale, uno dei migliori uomini della nostra Sicilia.
Resteranno le sue idee, i suoi scritti, i suoi insegnamenti.
Noi santagatesi abbiamo il dovere di raccogliere la sua eredità, di valorizzare la sua figura, di identificarla con la città, di amare, custodire e diffondere la sua storia tra le nuove generazioni.

Vincenzo Consolo, con il suo percorso di vita, ha acceso un faro sulla nostra terra, sulla nostra S.Agata. Noi abbiamo il dovere di rendere questa luce sempre più forte e luminosa.

* Bruno Mancuso
sindaco di Sant'Agata Militello

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