Festa della Liberazione: la filastrocca del 25 aprile di Mimmo Mòllica

Festa della Liberazione: la filastrocca del 25 aprile di Mimmo Mòllica 25/04/2024 - La «Filastrocca del 25 aprile» di Mimmo Mòllica ricorda la liberazione dell'Italia dalla dittatura fascista e dall'occupazione nazista. Una data importante per adulti e bambini, da non dimenticare per dire 'no' ai totalitarismi e a tutte le guerre. Sempre e in  ogni luogo, «meglio fiori che armi». «Filastrocca del 25 aprile» di Mimmo Mòllica

FRANCO BATTIATO, LA CANZONE SICILIANA SE SBAGLIA SI CORREGGA

La legge regionale, approvata dal governo Lombardo, prevede oggi l'insegnamento della cultura siciliana, non esclusa la lingua. La canzone è certamente 'strumento' culturale sintetico e privilegiato di insegnamento, a condizione - però - che non trasmetta errori e suggestioni arbitrari e casuali. Una battuta di Guido Clericetti diceva: "In Sicilia ci sono scuole tanto povere, dove insegnano a leggere e a scrivere ma con qualche errore di grammatica". E questo, pur apprezzando molto Clericetti, lo possiamo accettare solo come battuta...

Gioiosa Marea (Me), 01/12/2012 – Carissimo Franco Battiato, una lunga e gradita telefonata fattami ieri sera dal tuo concittadino Francesco Giuffrida, appassionato ed esperto di canti della tradizione siciliana, mi induce stamattina a scriverti, da cantautore e assessore al Turismo, quale sei.
Pensavo alle tue canzoni in lingua siciliana: Stranizza d’amuri, Veni l'autunnu; pensavo a quanto siano preziose e al merito che ti sei assunto scrivendole, in lingua siciliana. Le versioni da te interpretate e quelle di Carmen Consoli sono esemplari, toccanti, ricostituenti.

Pensavo all’opportunità che Sergio Valzania, direttore illuminato di Radio2, mi diede di trasmettere una serie radiofonica nazionale dedicata alla “Musica di Confine” e vi inclusi pure i tuoi due brani di cui sopra, con gran piacere e orgoglio. Ma dove se ne sentono, ancora, in programmazione brani in lingua siciliana?

Ripensavo a un assessore al Turismo che ‘corpa’ sole non mi diede quando gli chiesi di valorizzare, nei suoi circuiti culturali, quel repertorio di canzoni siciliane che include Ciuri Ciuri, Vitti ‘na Crozza, E vui durmiti ancora, Lu focu di la pagghia, etc.
Ieri sera, al telefono, Francesco Giuffrida mi chiedeva ragguagli sul testo della canzone Lu focu di la pagghia, che ha trovato plausibile in una versione da me trasporta (pubblicata in Le più belle canzoni Siciliane, Armenio Editore), mentre trova del tutto improbabile la versione cantata ed incisa dalla stessa Rosa Balistreri, poi ripetuta pedissequamente da vari altri interpreti, abbondantemente diffusa nel web...

In effetti, negli anni della nostra amicizia e collaborazione, feci notare a Rosa Balistreri certe incongruenze in quel testo, ma lei ribattè (a sua volta) che l’aveva imparata a quel modo e che nella vecchiaia le veniva difficile farsi entrare in testa parole nuove. Così le ripetei affettuosamente versi non miei: “Quannu ‘na cosa storta non s’addrizza, / o è cuda di porcu o è sasizza”. 
Oggi penso che da YouTube in avanti è sempre più facile ascoltare brani di genere, interprete, epoca e latitudine diversi, per quello che sono. Pure tramandando e pubblicando nel web testi, frasi e termini errati o inconcludenti. La canzone Lu focu di la pagghia, che quan viene presa a modello, non è l'unico caso, è ‘universalmente’ diffusa nella versione di Rosa Balistreri & C.:

Lu focu di la paglia pocu dura
quantu l'amuri di la munzignara
l'amuri ca durò menu d'un ura
vampa la capricciusa di mavara.

L'occhiu amurusu miu ti vitti chiara
surgiva d'acqua cristallina e pura
ma mètiri li petri di ciumara
è lu risparmiu di la fugnatura.

(Lasciando perdere il resto, mietere pietre di ciumara è il risparmio della fognatura? E inoltre, vampa la capricciusa non funziona granchè...)

Stannu sunannu a mortu li campani
ora ca tu ammazzasti lu miu amuri
lu suli ca scurò cielu è lu mari
e lu me cori è chinu di duluri.

(… il sole che oscurò il cielo è il mare? Già una ‘e’ congiunzione andrebbe molto meglio rispetto al verbo... ma non cancellerebbe l’incongruenza dei versi…)

Mi lu mittisti a modu di littani
stannu scavannu fossi e sipurturi
cercanu crozzi e mali cristiani
pi darimi li spini ncanciu di ciuri!

(In quest’ultima quartina c’è ben poco che funzioni: peraltro cosa si intenderebbe per ‘littani’?
Se non dovesse esserci la complicità del correttore automatico di word, probabilmente si parla di 'mettere a mollo' (a moddu e non a modu) li liami, i giunchi adoperati per le legature dei sarmenti. Ma dire "mi mettesti a modo di ‘littani’", non rende l'idea...? E chi sta scavando fosse e sepolture (manca il soggetto)? Ancora, in questo canto di sdegno (degno del Canto dell’Odio di Lorenzo Stecchetti), è verosimile che il cantore voglia donare a se stesso le spine (pi darimi li spini ncanciu di ciuri)?

Decisamente no. Rosa Balistreri è stata unica per bravura e qualità vocali. Ha incarnato il ruolo che nel mondo poche interpreti del genere hanno potuto assumere. Cito solo Amalia Rodrigues e Maria Carta, per tutti. Ma ciò non deve renderci superstiziosi al punto da non volerci ravvedere laddove la tradizione orale mostri i suoi amabilissimi e comprensibilissimi limiti.

Ecco, caro assessore Franco Battiato, ti scrivo la presente* per sostenere l’opportunità di favorire la diffusione di pubblicazioni (a cominciare da quella alla quale sta lavorando Francesco Giuffrida), convegni, spettacoli, etc., che riprendano il dibattito su questo nostro patrimonio, senza superstizioni, proponendone il seguito, l’”ancòra” e il “sempre”. Altro che corpa sole l'assessore non mi diede...

Fiducioso del nuovo ruolo che saprai assegnare all’assessorato affidatoti e al patrimonio culturale siciliano, mediterraneo e umano, rinnovo il mio compiacimento per l’accettazione del compito da parte tua.
Di seguito trascriverò il testo da me appreso e sempre cantato (e sentito cantare da Ciccio Busacca, da Orazio Strano e molti altri).

LU FOCU DI LA PAGGHIA

Lu focu di la pagghia pocu dura,
quantu l’amùri di la munzignàra;
l’amùri to’ duràu menu d’un’ura:
vampàta capriccìusa di magàra.

L’occhiu amurùsu miu ti vitti chiara,
surgìva d’acqua cristallina e pura,
e inveci eri limàzzu di ciumàra,
eri lu stagnu di la fugnatùra.
Stannu sunànnu a mortu li campàni
ora c’assassinàsti lu me amùri,
lu suli si stutàu, nun c’è dumàni
pi ‘stu me cori chinu di dulùri.

Li lupi si stanàru di li tani
stannu sfussànnu tombi e sipultùri,
cèrcanu crozzi ‘i mali cristiàni
pi’ daritìlli a tia ‘n cànciu di ciùri.

(Gli accenti sono esclusivamente di portamento, per facilitare la lettura, compreso quello sul mio cognome).

Mimmo Mòllica
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(*) Dal brano “Pasquale militare”, cantato da Giacomo Rondinella, di De Gregorio - Rendine, 1953

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