La Commissione Antimafia a Siracusa per la mappatura dello stato di Cosa Nostra in Sicilia

Commissione regionale Antimafia lunedì a Siracusa per incontrare i vertici istituzionali della provincia. La commissione regionale Antimafia, presieduta da Antonello Cracolici, sarà alla prefettura di Siracusa, lunedì 7 aprile, per continuare nel suo lavoro di mappatura sullo stato di cosa nostra in Sicilia. Alle 11 ci sarà l'incontro con il prefetto, Giovanni Signer, con il questore, Roberto Pellicone, con il comandante provinciale dei Carabinieri, Dino Incarbone. Poi alle 15.30 l'incontro con i sindaci del Siracusano per discutere dei problemi relativi alla presenza della criminalità organizzata nel territorio.  Palermo, 5 aprile 2025– Si ricorda ai gentili colleghi che la commissione regionale Antimafia, presieduta da Antonello Cracolici, sarà alla prefettura di Siracusa, lunedì 7 aprile, per continuare nel suo lavoro di mappatura sullo stato di cosa nostra in Sicilia.  Alle 11 ci sarà l'incontro con il prefetto, Giovanni Signer, con il questore, Roberto Pellicone, con...

“IL MIRACOLO DI DON PUGLISI”. MISTRETTA: “RESTITUIAMO LA LORO VITA AI TESTIMONI DI GIUSTIZIA, A DOVERSI VERGOGNARE SONO I MAFIOSI”

Ieri l’iniziativa organizzata da Fondazione antiusura e Paoline. Cinquanta ore di registrazione da sbobinare. E un incontro che indirizza, la scoperta di un tema che diventa, inesorabilmente, un libro e un obiettivo
Messina, 10/05/2013 - Roberto Mistretta è alla Paoline di Messina per presentare il suo libro, “Il miracolo di don Puglisi”, edito nel febbraio di quest’anno da Anordest.
Ma al microfono come prima di avviare l’incontro, mentre firma le copie e risponde alle domande dei giornalisti, rinuncia spesso all’affabulazione del racconto, in cui pure appare maestro, per rimarcare, ricordare, richiamare il tema dei “testimoni di giustizia”. Tema di rado affrontato con questo piglio e precisione. “I testimoni di giustizia sono un’ottantina in tutto. Non sono pentiti. Non sono collaboratori. Sono brave persone, persone che non hanno compiuto crimini. Persone che hanno deciso di servire la Giustizia e lo Stato. Hanno visto qualcosa e hanno scelto di non voltare lo sguardo. Hanno denunciato e testimoniato. E per far questo hanno dovuto pagare un prezzo altissimo. Quello di dover abbandonare la propria terra e la propria vita, la propria famiglia e il proprio nome”.
Persone come Giuseppe Carini “che smaniava per diventare un uomo d’onore, ma dopo avere incontrato sulla sua strada don Pino Puglisi, ha scelto di testimoniare contro la mafia, di fare nomi e cognomi, di puntare l’indice accusatorio”. E’ lui “il miracolo vivente di don Pino Puglisi”, il protagonista del libro di Mistretta. E, anche, “la persona speciale di cui vi porto il saluto”, come dice il giornalista e scrittore.
Mistretta è qui, nell’anniversario della morte di Peppino Impastato, chiamato dalle Paoline e della Fondazione antiusura Padre Pino Puglisi. Padre Nino Caminiti, il presidente della Fondazione, introduce l’incontro con parole semplici. “Ci serve leggere questo libro, partecipare a questa iniziativa”, dice. “Ci serve per conoscere un po’ di più padre Pino Puglisi. Ci serve per scavare un po’ di più nella nostra coscienza. Ci serve per imparare a tenere un po’ più alta la nostra testa”.

E c’è già tutto l’insegnamento di padre Puglisi in questo primo intervento. Poi il microfono passa al tenente colonnello Sergio Schiavone, comandante dei Ris di Messina, che presenta il libro e pone le prime domande all’autore. “Noi carabinieri che siamo abituati a guardare ogni giorno le foto di Dalla Chiesa, di Falcone e di Borsellino, conosciamo e ammiriamo padre Pino Puglisi. Ma il centro di questo libro, il racconto della vita e delle scelte di Giuseppe Carini, è stato per me una sorpresa. E una scoperta”.
Una scoperta avvenuta per caso, dice Mistretta. “Ma il caso probabilmente non esiste”, aggiunge. E’ il 2011. L’autore sta scrivendo “Giudici di frontiera” (Sciascia Editore) e intervista, tra gli altri magistrati, Giovanbattista Tona. Tona gli parla del suo padre spirituale, don Pino Puglisi, assassinato dai mafiosi. Gli parla anche di Giuseppe Carini, allievo di don Pino e poi testimone di giustizia. Mistretta non riuscirà a dimenticare quel nome e quel primo stralcio di storia. Da lì prenderà le mosse la ricerca che lo porterà a intervistare Carini, e poi a scrivere “Il miracolo di don Puglisi”. Lo porterà oggi qui alle Paoline e nelle prossime settimane alla seconda ristampa del libro, che già sarà una cosa diversa da quello che troviamo ora in libreria. Ci sarà un nuovo capitolo, infatti, dedicato alla beatificazione. “Don Pino è stato sottovalutato”, ricorda Mistretta sorridendo. “Avevano pensato che per la beatificazione sarebbero intervenuti in diecimila. Poi le adesioni in pochi giorni sono salite a ventimila, e allora la cerimonia è stata spostata alla Favorita. Oggi siamo già a sessantamila. E non accennano a diminuire”.

Insieme, ha detto poco prima padre Caminiti, ci ritroveremo a Palermo il 25 maggio per la beatificazione di don Pino. E Ferdinando Centorrino, uno dei volontari della Fondazione antiusura, ricorda come al momento di scegliere il nome del nuovo soggetto giuridico che si stava istituendo, gli operatori si fossero riuniti per confrontarsi. “Quel brainstorming durò circa 3 minuti. L’allora direttore della Caritas diocesana di Messina, monsignor Montenegro, propose il nome di don Pino. Semplicemente, quel nome convinse in un attimo tutti noi”.

Il giorno di questo incontro a Messina non è stato scelto a caso. Vent’anni fa, Carini era ad Agrigento. Lo aveva mandato don Pino. Le intimidazioni si erano fatte incalzanti. Il prete di Brancaccio – che a Brancaccio era arrivato a 53 anni e che, tre anni dopo il suo arrivo “in punta di piedi”, lì sarebbe stato ucciso – vedeva vicina la fine. Ai suoi giovani voleva lasciare speranza e forza. Tra i suoi giovani, ormai, Carini era il suo braccio destro. Nel loro primo incontro don Pino gli aveva chiesto “un’ora a settimana per portare i bambini che giocano in strada a giocare a calcio nel campetto della parrocchia”. La capitolazione di questo ventenne, studente di Medicina, che coltivava il mito dell’uomo forte, rispettato e temuto, dell’uomo d’onore, e che aveva deciso di trovare e uccidere coloro che gli avevano assassinato lo zio, scomparso di lupara bianca, era cominciata così, da un piccolo gesto, da un’ora alla settimana.

Di fronte a Carini la Valle dei Templi di Agrigento è gremita di persone accorse per partecipare alla Santa Messa celebrata da Giovanni Paolo II, la funzione è ormai al termine e il Papa prende la parola per pronunciare la benedizione e il saluto finale. Nessuno sa cosa stia per dire perché quel discorso non è stato preparato. Il Papa procede a braccio, come fa spesso, e dice ciò di cui sembra avvertire la necessità e l’urgenza. Si rivolge ai siciliani e li invita a rifiutare quella che definisce “civiltà contraria, civiltà della morte”, ma soprattutto parla direttamente ai mafiosi. “Dio ha detto una volta: non uccidere. Non può l’uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione, la mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Nel nome di Cristo, mi rivolgo ai responsabili: convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!”. È il 9 maggio del 1993. Il 15 settembre di quello stesso anno don Puglisi veniva assassinato.

Nel ricordo del suo insegnamento, Carini denuncerà un fatto criminoso, e la sua vita cambierà definitivamente. Succederà dopo la morte di don Pino, nel 1995. Da allora Carini è sottoposto allo speciale programma di protezione. È “un testimone/fantasma che ha usufruito del cambio di identità, che ha dovuto tagliare tutti i contatti con la sua vita precedente, con la sua terra, con la sua famiglia. Un testimone che lotta per continuare ad affermare quei precetti di verità e giustizia che rendono gli uomini, tutti gli uomini, veramente liberi. Quei precetti messi in pratica da don Puglisi nell’esercizio del suo ministero in una terra di frontiera dove lo Stato era assente, i bambini crescevano per strada, i giovani idolatravano gli uomini d’onore. Don Puglisi ha mostrato un’alternativa, una nuova opportunità di vita, un sentiero di riscatto. Carini l’ha colta”.

L’obiettivo oggi – per Carini e per Mistretta - è quello di far applicare la legge 45/2001 sui testimoni di giustizia. Perché non siano loro a pagare, perché sia loro consentito di continuare a vivere la propria vita. “A doversi vergognare e a dover scappare dalla propria terra non sono le persone come Giuseppe Carini”, conclude lo scrittore. “Sono i mafiosi”.

Commenti