Ponte sullo Stretto: da sì al ponte a no al ponte è un attimo

Da sì al ponte a no al ponte è un attimo: basta che De Luca lo richiami all'ordine e il sindaco di Messina Federico Basile, obbedendo agli ordini di scuderia, rinnega una parte importante del proprio programma elettorale”. Roma, 23 aprile 2024 -  Così gli ingegneri Giacomo Guglielmo e Mauro Fileccia, fondatori insieme al senatore Nino Germanà del Comitato Ponte e Libertà.  " Ma una città come Messina, con un futuro tutto da disegnare, può accettare che il proprio sindaco sia teleguidato per gli interessi elettorali di chi non ha completato il proprio mandato per inseguire il sogno, poi infranto, della presidenza della Regione Siciliana? - incalzano Guglielmo e Fileccia. Altro aspetto sconcertante è quello della “preoccupazione” di Basile per la quantità di acqua necessaria per la costruzione del ponte sullo Stretto. Un aspetto squisitamente tecnico, che però non ha sfiorato Basile se riferito al fabbisogno dei cantieri del passante di Palermo, del raddoppio ferroviario Messina

DON MILANI E GLI ISTITUTI PROFESSIONALI: “TI CHIEDO POCHISSIMO E TI DO POCHISSIMO”

“Mi è sempre più evidente che l’Italia, per risorgere, ha bisogno di costruire o ricostruire nei ragazzi la voglia di sapere”. Analisi impietosa dei vizi della società e della formazione. Colloquio a distanza tra Pietro Ichino e Sergio Briguglio
29/05/2014 -
La parte non caduca della predicazione di don Milani, alla quale mi sento ancora oggi profondamente legato, è quella che si colloca sul piano morale.
Il liberalismo a cui cerco di ispirare il mio lavoro volto a costruire un’economia aperta, caratterizzata dalla massima possibile mobilità sociale e dalla piena contendibilità di tutte le funzioni di rilievo sociale, a partire da quelle pubbliche, è invece un sistema di valori e un progetto che si collocano sul piano politico.

Oggi a me sembra che in Italia sia proprio nel contesto di un’opzione liberal-democratica che può collocarsi l’azione più utile per liberare dal bisogno i più poveri e diseredati. Nello statalismo e nel dirigismo della vecchia sinistra - che si chiami ancora, o no, “comunista” - vedo la difesa di troppe rendite, la conservazione di troppe strutture che oggi impoveriscono il Paese, la perpetuazione di una spesa sociale tutta orientata a privilegiare la mia generazione rispetto alle successive; e anche la protezione sistematica della parte dell’Italia che non rischia (quella dell’impiego statale o regionale e delle imprese poco produttive tenute in vita con il denaro pubblico) contro l’interesse di chi non ha alcun paracadute, ricco o povero che sia. Non credo che don Lorenzo, se vivesse oggi, sarebbe tenero con questa vecchia sinistra, quasi sempre incapace di guardarsi allo specchio e di cogliere i segni dei tempi.

Pietro Ichino

Caro Pietro,
ho letto solo ora il tuo articolo su don Milani. Mi riconosco molto nell’essere stato inseguito, per tutta la vita, dai privilegi e nel conseguente obbligo di restituzione. Riconosco anche la profonda verità di una concezione della scuola come strumento per depotenziare le disuguaglianze sociali.
Quest’anno, con un gruppo di amiche e di amici, abbiamo avviato un doposcuola per ragazzi - una dozzina - delle scuole medie. La maggior parte è costituita da ragazzi di immigrazione recente, per lo più dall’Europa dell’Est. Alcuni sono italiani. Soprattutto riguardo ai primi, vedo come la scuola, anziché scardinare l’ingiustizia, la alimenti. Al ragazzo rumeno o moldavo (o di qualunque altra nazionalità) appena arrivato non viene dato di più: viene solo richiesto di meno.
Col voto, si premia, nella migliore delle ipotesi, la derivata della funzione “rendimento scolastico”, ma non si tiene mai conto del valore di quella funzione.

I ragazzi, a quella età, difficilmente possono aver sviluppato un senso della responsabilità tale da dar loro una voglia di impegnarsi anomala rispetto ai coetanei italiani. Così, finiscono per adagiarsi in questa condizione di obiettivi ridotti, e condannano se stessi a un futuro scolastico segregato negli istituti professionali, dove il circolo vizioso “ti chiedo poco e, quindi, ti do poco” diventa “ti chiedo pochissimo e, quindi, ti do pochissimo”.

I genitori dei ragazzi hanno a cuore, molte volte, il progresso scolastico dei figli. Ma non hanno gli strumenti, in genere, per verificarne l’effettività, e si accontentano dell’indulgenza della scuola. Altre volte, tentano di far avvertire immediatamente ai figli i vantaggi della scelta migratoria effettuata (anche per far sì che i figli dimentichino gli svantaggi dello sradicamento), e puntano a garantire loro un livello di consumo pari a quello dei coetanei. In entrambi i casi, ai ragazzi non viene fatto riconoscere lo studio come strumento di arricchimento spirituale, di accrescimento del capitale umano, di inserimento sociale.
Credo che sarebbe salutare, sia per i ragazzi italiani sia per quelli stranieri, una settimana sabbatica, già dalle scuole medie, in cui possano vivere esperienze lavorative diverse; per apprezzare, di ciascuna, il valore e la durezza.
Mi è sempre più evidente che l’Italia, per risorgere, ha bisogno di costruire o ricostruire nei ragazzi la voglia di sapere. Le risorse pubbliche spese per questo possono avere tassi di rendimento altissimi.

Penso a risorse spese in un supplemento di sostegno scolastico (non solo a favore dei ragazzi in difficoltà; anche a favore dei ragazzi che non si accontentano degli obiettivi minimi). Penso cioè a risorse distribuite, ex post, in base alle performances scolastiche ottenute dai ragazzi; con una misura che combini, con pesi opportuni, il progresso del ragazzo e la competenza raggiunta (non solo l’uno o solo l’altra).

Sergio Briguglio
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