Capizzi, studente modello di 16 anni ucciso in piazza da un ventenne armato di pistola

Uno studente di 16 anni,  Giuseppe Di Dio, è stato ucciso sabato 1° novembre a Capizzi, piccolo comune dei Nebrodi in provincia di Messina, mentre un suo amico è rimasto ferito nella sparatoria. Fermate tre persone.  Giuseppe Di Dio frequentava la terza classe  dell'istituto alberghiero di Troina (Enna) e sarebbe stato attinto per errore dai colpi mortali esplosi da  Giacomo Frasconà Filaro , il 20.enne presunto assassino . 3 nov 2025 - Giuseppe Di Dio, 16 anni, e i suoi amici si trovavano  davanti a un bar di via Roma, a Capizzi, quando da un'automobile sarebbero scese tre persone, una delle quali avrebbe esploso i colpi di arma da fuoco che hanno attinto mortalmente il sedicenne, ferendo un altro giovane di 22 anni.  Si tratta di  Antonio Frasconà Filaro , 48 anni, e dei figli Mario, 18 anni, e Giacomo, 20 anni. Quest'ultimo, armato di pistola avrebbe fatto fuoco sulle persone presenti all'esterno del  bar di via Roma, a Capizzi, uccidendo ...

TERRORISMO E IMMIGRAZIONE CLANDESTINA: IN SICILIA TRA SOCIAL E TRAFFICO DI ORGANI

Traffico di esseri umani e droga sono le attività svolte dal gruppo criminale oggetto dell’operazione “Glauco 3” (video) conclusa dalle Squadre mobili di Palermo e Agrigento, in collaborazione con gli agenti del Servizio centrale operativo (Sco) di Roma. Da indagini compiute dalla sezione antiterrorismo della Digos della questura di Palermo, è emerso che Shabbi Khadgia era una vera e propria “cellula dormiente” del gruppo estremista “Ansar Al Sharia Libya”: legata anche a foreign fighters, presenti in Italia e in Europa (Gran Bretagna, Belgio e Turchia) che, come lei, esaltano il radicalismo religioso e le milizie combattenti in Libia

Palermo, 04/07/2016 – Questa mattina all’alba sono state eseguite 23 delle 38 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dalla Direzione distrettuale antimafia palermitana. In particolare sono finiti dietro le sbarre 13 cittadini eritrei, 9 etiopi e un italiano, mentre altri 15 nordafricani sono risultati irreperibili sul territorio nazionale e nei loro confronti saranno avviate le procedure di estensione dei provvedimenti in campo internazionale. Si chiama Khadgia Shabbi, è nata a Bengasi e ha 45 anni la donna fermata lo scorso 29 giugno a a Palermo con l’accusa aver pubblicamente istigato a commettere delitti in materia di terrorismo. Ufficialmente frequentava l’Università di Palermo come dottoranda in Scienze economiche aziendali e statistiche, e si manteneva con una borsa di studio elargita dall’ambasciata libica ma in realtà svolgeva attività di propaganda per l’Isis e la Jihad attraverso i social network.
Dalle indagini compiute dalla sezione antiterrorismo della Digos della questura palermitana, è emerso che Shabbi era una vera e propria “cellula dormiente” del gruppo estremista “Ansar Al Sharia Libya”. Era legata anche a foreign fighters, presenti in Italia e in Europa (Gran Bretagna, Belgio e Turchia) che, come lei, esaltano il radicalismo religioso e le milizie combattenti in Libia.

Grazie agli accertamenti telematici ed informatici, i poliziotti hanno accertato che la maggior parte della propaganda veniva fatta attraverso le pagine dei social network raggiungendo numeri di visibilità elevatissimi e creando così una vera e propria rete di sostegno.
La maggior parte di queste pagine, scritte in lingua araba, erano indirizzate a pubblicizzare, a livello globale, la propaganda jihadista, definita Jihad 2.0.

La lontananza dagli scenari di guerra non ha impedito alla donna di lottare contro chi non condivideva i suoi ideali, portandola così, ad esempio, a minacciare una connazionale residente a Palermo, colpevole di non aver condiviso la sua posizione ideologica radicale. Tra i vari episodi scoperti dagli agenti anche uno di invio di somme di denaro per scopi imprecisati ad un uomo residente in Turchia il quale manifestava inquietanti timori di essere intercettato nelle conversazioni con l’indagata. Su quest’ultimo episodio sono in corso ulteriori accertamenti.

Si era anche attivata per far arrivare in Italia il nipote combattente in Libia per le milizie vicine all’Isis, in modo da sottrarlo alla cattura da parte dell’esercito regolare libico. Nel corso di un’altra conversazione telefonica intercettata dagli investigatori, infatti, la donna, suggeriva ad alcuni familiari, di far scappare il nipote in Tunisia, nel tentativo di ottenere il rilascio del visto d’ingresso per l’Italia presso la sede dell’ambasciata italiana in Tunisia (in quanto l’ambasciata d’Italia in Libia era stata chiusa da pochi giorni).

Per questo scopo la donna lo aveva iscritto ad una scuola di italiano per stranieri, a Palermo, in modo da ottenere per lui il rilascio del visto d’ingresso per motivi di studio e – una volta giunto in Italia – la concessione del permesso di soggiorno. Suo nipote, invece, sarebbe rimasto ucciso nel corso di una operazione militare condotta dall’esercito “regolare” libico.

Polizia di Stato

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