Bertinotti su Capitalist: “La sinistra deve ricostruirsi dal basso. Il Ponte sullo Stretto è un’opera insensata”. È online su Capitalist.it una lunga intervista a Fausto Bertinotti, figura storica della sinistra italiana, che offre una lettura severa e articolata della crisi politica progressista, delle priorità infrastrutturali del Paese, del ruolo dei sindacati e dei nuovi equilibri globali segnati da guerra e diseguaglianze.22/12/2025 - Interpellato sul possibile leader della sinistra capace di confrontarsi con Giorgia Meloni, Bertinotti taglia corto e sposta il piano del ragionamento: “La sinistra ha davanti a sé un problema politico gigantesco, in Italia come in Europa: deve ricostruirsi. E la ricostruzione non avviene dall’alto, ma dal basso”. Secondo l’ex presidente della Camera, concentrarsi oggi sui nomi significa “chiedere che tipo di tetto mettere su una casa quando non sono state ancora costruite le fondamenta”.
Sul Ponte sullo Stretto, Bertinotti parla di “opera insensata” e richiama una gerarchia diversa delle priorità: “Quando per percorrere poche centinaia di chilometri si impiegano ore, è evidente che le priorità sono altre”. Il nodo, spiega, è culturale prima ancora che politico: “Abbiamo sviluppato un’idea monumentale delle infrastrutture invece che una visione funzionale. Si trascurano pendolari, collegamenti locali, mobilità quotidiana. È lì che il Paese sta peggio”.
Ampio spazio è dedicato al ruolo dei sindacati. Bertinotti respinge le accuse di aver abbandonato industrie e lavoratori, chiarendo che la responsabilità delle politiche industriali è di governi e imprese. Avverte però di una trasformazione profonda: “Il problema è che il sindacato si è trasformato prevalentemente in un’istituzione, mettendo in secondo piano ciò che ne costituisce l’essenza: il conflitto sociale e la contrattazione”.
E sulle critiche agli scioperi è netto: “Dire che uno sciopero serve per allungare il weekend significa disprezzare il lavoratore che perde una giornata di salario”.
Nell’intervista Bertinotti affronta anche il tema del capitalismo contemporaneo, definendolo un “capitalismo di guerra”, caratterizzato da disuguaglianze estreme e concentrazione di potere, talvolta descritto come “tecno-feudalesimo”. In questo quadro colloca i conflitti in corso: Gaza come espressione “più tragica e disumana” del nuovo disordine globale, l’Ucraina come guerra dichiarata, i dazi come guerra economica, tutte manifestazioni di una stessa logica imperiale.
In chiusura, un messaggio rivolto alle nuove generazioni e alla possibilità di una speranza politica e civile: “In un mondo dominato dalla violenza e dal potere bisogna tornare a dire: ‘Io non ci sto. Non in mio nome’”. Bertinotti individua nei giovani che riempiono università e piazze “per passione e giustizia” un segnale che il bisogno di pace e uguaglianza “è insopprimibile”.
L’intervista integrale è disponibile su Capitalist.it: (vai)
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